Storie Una conversazione privata con John Pawson Testo di Massimo De Conti Aggiungi ai preferiti John Pawson's country house, Home Farm, Oxfordshire, United Kingdom, 2013 – 2019. Photo courtesy Il celebre progettista britannico si racconta in occasione del nuovo volume edito da Phaidon. Con la firma di una penna d’eccezione: Deyan Sudjic. John Pawson ama raccontarsi, e con questo siamo al suo libro numero ventitré. Phaidon ha pubblicato infatti John Pawson: Making Life Simpler, non una monografia dei lavori ma piuttosto la biografia del progettista inglese. Un libro che si legge inaspettatamente come un romanzo, scritto in modo godibile dalla penna raffinata Deyan Sudjic (i due sono amici da una vita), pieno di curiosità e aneddoti che descrivono l’architettura attraverso l’uomo. «Mi è sempre piaciuto più scrivere dei miei progetti piuttosto che comunicarli visivamente. Chi li fotografa li vede a modo suo, con un angolo troppo personale», dice Pawson del repertorio di forme essenziali, spazi aperti e sereni, che col numero limitato di materiali sono la cifra di quello stile definito Minimalismo. Stile da lui interpretato in modo sublime, quintessenza dell’eleganza. Che sia una delle boutique per Calvin Klein o il complesso religioso Abbey of Our Lady of Nový Dvůr nella Repubblica Ceca (2004), il progettista settantaquattrenne, nominato Commander of the Order of the British Empire per il suo contributo al design e all’architettura, tratta sempre lo spazio con la stessa purezza, uguale dramma. Il portfolio Pawson spazia tra progetti come il The Jaffa Hotel & Residences in Israele (2018), le esclusive residenze private, le barche a vela e il Design Museum di Londra (2016). Architetture governate da luce e leggerezza, e forse non è un caso che in inglese si usi la stessa parola (light) per definire i due concetti. «Quando penso alla forma e all’atmosfera di un posto, in fondo alla mia mente tornano sempre le parole del poeta americano Walt Whitman: “Ogni momento di luce e buio è un miracolo”», ha affermato Pawson, il quale si racconta intimamente in un'intervista. John Pawson, photo Gilbert McCarragher, courtesy John Pawson In questo libro ci sono molti episodi privati, che importanza ha questa pubblicazione per lei? Deyan Sudjic (scrittore, fondatore della rivista Blueprint e direttore emerito del Design Museum, ndr), è venuto con l’idea di una biografia, il che mi ha sorpreso perché ritengo di non avere ancora finito quello che sto facendo. Ma è bello soffermarsi per un momento, prendersi una pausa per riflettere su cosa sia stato fatto sino ad ora. Come una disciplina, un modo per esplorare da dove venga questo lavoro. Anche se per me non rimane un mistero perché ci rivedo lo Yorkshire, i miei genitori, il Giappone e le altre influenze. Pensa che questo sia stato il momento giusto per farlo? Sicuramente è meglio farlo prima che arrivi la propria fine, e la mia memoria è ancora buona almeno al 90%. Quali sono stati gli incontri più importanti che ha avuto, umanamente e professionalmente? Oltre ai miei genitori e le mie compagne di vita, ovviamente, tra quelli significativi e formativi ricordo anche quello col designer giapponese Shiro Kuramata; e quello con Claudio Silvestrin, che ho incontrato più di 35 anni fa. L’incontro con lui è stato fortuito, breve e fondamentale. È stato sorprendente imbattermi in un luogo sperduto dell’Inghilterra in una persona che condividesse cosi appieno la mia visione. John Pawson: Making Life Simpler, written by Deyan Sudjic and published by Phaidon. Photo courtesy Phaidon Voi avete lavorato insieme, poi vi siete divisi in modo turbolento alla fine degli Anni 80 durante il progetto della Villa Neuendorf sull’isola di Maiorca, di fatto il vostro ultimo co-firmato. Avete avuto modo di ricucire il rapporto? Qualche tempo fa, stavo lavorando a un progetto per Kanye West, che era ospite nella mia casa in campagna. Lui affermava che dovessi farlo con Claudio Silvestrin, ma io ho ribadito che non ci parlavamo da più di 30 anni. Allora Kanye ha fatto una video call con Claudio, hanno parlato un po’ e poi ha allargato l’inquadratura coinvolgendo me. È stato un momento di sorpresa. Che importanza ha l’arte nella sua vita? Da giovane ho avuto modo di investire nell’arte contemporanea, ma non mi consideravo un collezionista. Ho avuto anche dei Mao di Andy Warhol ma alla fine non mi sentivo a mio agio a possedere quelle opere e le ho rivendute. I rimandi all’artista americano Donald Judd, un riferimento per tutti i minimalisti, sono evidenti nella sua architettura e nei suoi arredi. Mi racconta come è stata la sua visita al cento d’arte di Judd a Marfa? Ci sono andato dopo tanto tempo con Calvin Klein mentre lavoravo per lui, sebbene Hester (van Royen, ndr), la mia compagna di allora, fosse la rappresentante europea di Judd. Calvin ne aveva abbastanza già solo dopo due ore, ha chiesto dei libri ed è andato via. Ho una foto di lui che parte con una ventina di volumi. Io sono rimasto per qualche giorno, per me era il posto più importante al mondo da visitare. È stato come raggiungere una meta, come arrivare alla fine alle piramidi. St Moritz Church, Augsburg, Germany, 2008 – 2013. Photo courtesy John Pawson Nel libro c’è una sua foto da bambino, un ricordo di quel periodo? Nella nostra casa la mia camera era appena in cima alle scale. Quando mia madre cucinava, il profumo dei cibi arrivava fino a sopra. Avevo quattro sorelle, ricordo che, man mano che uscivano di casa, mio padre abbatteva una parete e la mia camera diventava sempre più grande. Mia madre era una donna modesta anche se proveniva da una famiglia abbiente. Ricordo una moltitudine di gente al suo funerale, una partecipazione diffusa che mi ha fatto pensare incredulo che stessimo parlando proprio della mia di mamma. Il grande artista inglese Anthony Caro, inventore della "sculpitecture”, ha affermato una volta che detestava l’architettura per quegli aspetti non strettamente creativi che avevano a che fare con burocrazia e la gestione dei progetti. Lei che ne pensa? L’architettura è si una forma d’arte ma molto pratica e funzionale. Con questo arrivano le restrizioni e, conseguentemente, i compromessi. Sono stato così fortunato da aver fatto in modo di evitare quegli aspetti. Da quando ho incontrato l’architettura ogni singolo momento della mia vita lavorativa è stato entusiasmante, senza un solo minuto di noia. Parlando di progetti che non ha avuto modo di realizzare, quale è il suo più grande rimpianto? Non c’è niente nella lista che rimpiangerei. Non ho mi costruito un grattacielo, ma ritengo anche che non si dovrebbero fare i grattacieli: non sono sicuro che mi piacerebbe stare su nel cielo. Mi piace l’idea di pensare a un aeroporto, di progettare un ospedale o una stazione, ma credo siano progetti più di competenza di studi più grandi. Il suo stile cosi assoluto lascia poco spazio alle variazioni, eppure lei sorprende a ogni progetto rendendo il monotono sublime … Provo a creare degli spazi in cui mi sento a mio agio, e spero che altri provino la stessa sensazione. È enormemente complesso creare semplicità e, se lo fai in modo giusto, l’atmosfera porta a un senso di calma. Spero di aver creato degli spazi in cui la gente si senta bene. John Pawson: Making Life Simpler di Deyan Sudjic 296 pagine con 230 illustrazioni a colori 304 × 238 mm www.phaidon.com www.johnpawson.com John Pawson's country house, Home Farm, Oxfordshire, United Kingdom, 2013 – 2019. Photo courtesy John Pawson and Claudio Silvestrin, Neuendorf House, Mallorca 1987 – 1989. John Pawson and Claudio Silvestrin, Neuendorf House, Mallorca 1987 – 1989.