Accessible Beauty, i 34 metri quadrati di Aldo Cibic a Shanghai
Rigenerazione urbana e nuove case come spazi di bellezza, legati alla natura. Il designer di fama mondiale mostra un altro lato della Cina, dove s’incontrano crescita, qualità e sperimentazione
È famoso per essere uno dei fondatori del collettivo Memphis, per la sua idea di sperimentazione come prassi, per essere, nelle parole di Andrea Branzi, “un architetto che non è architetto, un designer che non è più (solo) un designer, un insegnante che insegna ad imparare, un buon esempio di quello stato di immaturità permanente, che gli permette di conservare l’elasticità, la potenza e l’imprevedibilità un design ingenuo e genuino”. Aldo Cibic, classe 1955, nella voce ha ancora l’impronta della sua terra d’origine, ma nelle parole e nei pensieri manifesta una spiccata internazionalità che non accenna a scemare. Ultimamente, ha riscosso un enorme successo in Cina, dove attualmente vive e lavora, grazie all’appartamento in cui risiede. 34 metri quadrati in un quartiere operaio di Shanghai, che sono diventati un fenomeno mediatico, con articoli sui giornali, servizi tv e video online che registrano milioni di view. Di recente, Cibic ha realizzato il progetto Paesaggio Italiano, esposto al Padiglione della Cultura Italiana al China International Import Expo 2021, di Shanghai, e per l'appartamento a Shanghai, è stato selezionato nella AD100 List 2022. Ciò che lo motiva, e che spiega in parte il successo del suo piccolo appartamento, è l’idea di Accessible Beauty, ovvero di bellezza e di qualità accessibile a più persone possibili, da attuare sia nelle proposte di design urbano sia di design del mobile. Tramite progetti di rigenerazione urbana nei quartieri dove risiedono per lo più persone anziane, con spazi di co-working, cucine comuni, laboratori per studenti, e di recupero del legno ricavato dalle demolizioni di vecchie case, dando forma a nuovi arredi di alta qualità dal design più contemporaneo.
Quando ho compiuto 60 anni, ho deciso che volevo cambiare registro e sperimentare nuove cose. Ho pensato che San Francisco fosse il posto giusto, essendoci enormi contrasti sociali da indagare. Non è successo niente. Allora mi sono rivolto alla Cina, dov’ero venuto nel 2003-2009, in occasione della prima mostra di design organizzata con l’università Tongji di Shanghai, di cui ero diventato professore onorario. Tre anni fa, Lou Yongqi, il vice-presidente della Tongji, mi ha chiesto di stabilirmi qui, visto che stavo lavorando su alcuni progetti di rigenerazione urbana: ho accettato. Nelle scorse settimane, ho avviato il lavoro che aspettavo da 18 anni, presentato durante le Biennali di Venezia del 2004 e 2010 con il nome Microrealities e Rethinking Happiness. Un progetto di nuove comunità, che coinvolge un territorio quasi interno alla città, con 40 ettari di agricoltura organica e un villaggio contadino vuoto di 40/50 case. L’obiettivo è dare forma a un nuovo tipo di abitabilità del futuro, perché la gente abbia modo di conoscere meglio tutti gli aspetti della natura, dal cibo alla salute, ai valori materiali, mettendoci dentro anche la scuola.
Il fatto che la mia casa a Shanghai sia diventata una sorta di manifesto dipende dal fatto che le persone sono entrate in una nuova fase di benessere. Spesso non si coglie, ma è elementare per capire quello che accade oggi: la Cina è ottimista, sta vivendo ciò che abbiamo vissuto noi negli anni Ottanta, soprattutto la classe emergente. I cittadini, per la prima volta, sono consapevoli delle proprie disponibilità economiche. È una visione radicalmente differente da quella che abbiamo noi. Shanghai è come New York, Parigi, Londra o Milano. È una città a sé stante, ricca e sofisticata.
Sto lavorando sulla domesticità, intesa non come prodotto di design, ma come idea di qualità della vita. Non è tanto una questione di vendere o meno, perché si sta vivendo un momento di evoluzione. I giovani cinesi sono creativi nel vestire, c’è voglia di mostrare la propria personalità. Ciò che mi interessa molto è lo step successivo alla moda: l’abitazione. La casa significa qualità della vita. In Cina ci sono sia individui ricchissimi che risiedono in dimore eleganti e possono permettersi tutti i tipi di lussi, sia persone che hanno difficoltà a comprarsi un appartamento nelle grandi città, come Shanghai, perché carissime. È per questo che i miei 34 metri quadri diventano emblematici, perché mostrano come rendere abitabile e accogliente uno spazio piccolo. La chiamo Accessible Beauty: voglio dimostrare che, con una cifra esigua, si può avere una casa dignitosa in cui essere felici di abitare. Nel mentre, sto facendo anche una penthouse di lusso a Taipei, una villa per un venture capitalist di alto profilo sul lago vicino a Shanghai e un loft sofisticato per una giovane cliente.
Il mercato cinese va giudicato in base ai differenti settori socio-economici. Nella fascia ricca, c’è una grande richiesta di design scandinavo e italiano, i margini d’azione sono enormi sia nel retail – l’Italia ha buoni distributori – sia nell’online, che si svilupperà maggiormente. In quest’ottica, le aziende italiane dovrebbero capire meglio come posizionarsi in un mercato che ha solo da insegnare, perché al consumatore alto il design italiano piace tout-court. Poi c’è un altro mercato, come Tao Bao, che vende copie, ma sono sempre di più i consumatori che cercano qualcosa con un’anima, che sono disposti a spendere di più per un prodotto speciale. Infatti, ci si aspetta che la Cina cresca internamente in termini di qualità, stanno entrando nelle case gli arredi che i cittadini vedono nei pub, nei bar, nei ristoranti. Bisogna un po’ abbandonare il pregiudizio della scarsa qualità cinese.
Siamo a un momento di svolta, in cui per le giovani generazioni sostenibilità e originalità stanno diventando parametri imprescindibili. La Cina non va mai vista sul presente, ma sempre in prospettiva storica.
Mi sono creato la strada che volevo io, non è la prassi dei miei colleghi decidere di andare a vivere in un quartiere povero in Cina, mi sono messo in gioco abbastanza. Gli architetti locali mi rispettano perché ho fatto vedere un altro aspetto della loro civiltà. Ho generato un fenomeno sociale. La mia figura entra in una dimensione quasi culturale, dove la bellezza non è legata necessariamente alla ricchezza. Questo è il modo in cui sono letto qui, oggi.
Non dico di sì, però quando una persona sa cogliere le opportunità che la vita offre, qualcosa accade. La Cina per me oggi è il posto in cui si può sperimentare qualcosa che nel resto del mondo o è già accaduto o non è possibile che accada. Qui mi diverto, perché ho di fronte un orizzonte ampio, interessante e di lunga durata. C’è un’enorme curiosità.