Alexandra Cunningham Cameron: come ripensare l’esperienza nei musei
La curatrice di design contemporaneo del Cooper Hewitt - Smithsonian Design Museum riflette sui progetti digitali che accorciano le distanze tra le istituzioni culturali e il pubblico. A partire da una mostra che ha aperto il giorno in cui tutti i musei di New York hanno chiuso.
Alexandra Cunningham Cameron, curatrice di design contemporaneo e Hints Secreterial Scholar al Cooper Hewitt - Smithsonian Design Museum di New York, è stata ospite del “supersalone” dove ha preso parte all’ Open Talk: Women Within Institutions. La sua riflessione sul ruolo dei musei va oltre alle questioni di genere e il suo lavoro, come ha sperimentato con la mostra che ha curato Willi Smith: Street Couture (al Cooper Hewitt fino al 24 ottobre), l’ha portata a indagare i nuovi strumenti digitali a disposizione delle istituzioni culturali per allargare le proprie attività e il coinvolgimento del pubblico.
Le persone che sono tornate a frequentarli sono più consapevoli del valore dell’esperienza fisica e di ciò che l’accompagna. In questo senso il Covid ha alzato il livello. Molti istituti hanno anche colto l’opportunità di sviluppare piattaforme digitali con l’obiettivo di ricollegarsi al proprio pubblico, e ne hanno raggiunto uno molto maggiore e globale. Questo è stato un vantaggio per il lavoro che facciamo. Per me è stimolante: significa che c’è un maggiore interesse verso le istituzioni in generale perché sviluppino nuove piattaforme per entrare in comunicazione con i visitatori e condividere le idee.
Non si tratta semplicemente della creazione di una mostra online. Ha anche a che fare con l’archiviazione, per esempio, e la creazione di video dentro siti che possano essere più accessibili al pubblico. È interessante lo sviluppo del design di questo tipo di piattaforme: pensare a come si naviga nello spazio digitale e quale sia la strada migliore per processare le informazioni e promuovere gli spostamenti all’interno di un sito. C’è spazio per sperimentare e investire. Creare qualcosa per un pubblico digitale è molto diverso che per un pubblico reale. Sta spostando il concetto di mostra su molteplici piattaforme: deve comprendere l’esposizione fisica, qualcosa di virtuale, qualcosa di stampato. Non penso che dobbiamo più considerare la mostra fisica come il centro del lavoro curatoriale.
Negli ultimi anni ho lavorato a una mostra sullo stilista americano Willi Smith. L’inaugurazione era prevista per il 13 marzo 2020, che è il giorno in cui tutti i musei a New York hanno chiuso: è rimasta aperta per un giorno. Smith morì nel 1987 a causa di complicazioni legate all’Aids. Accanto alla mostra abbiamo pubblicato un libro che è una combinazione di saggi, interviste e ricordi delle persone che lo conoscevano. E poi insieme a Cargo abbiamo realizzato un digital community archive, un archivio online che include video – alcuni dei quali già in mostra – e i contenuti del libro, ripubblicati digitalmente e gratuitamente, a disposizione del pubblico e degli studenti di design. Non solo, ci siamo spinti ancora più in là: abbiamo lanciato una open call per avere notizie su Willi Smith perché la sua vita non è stata documentata dalle istituzioni e non c’era un archivio formale. Volevamo condividere il racconto della sua storia con le persone che avevano collaborato con lui o ci tenevano a lui o erano fan dei suoi vestiti. Abbiamo raccolto episodi, foto, abiti, ephemera e li abbiamo postati nel sito, aprendo in questo modo il processo curatoriale e di ricerca.
Questo digital community archive aperto durante il Covid ha guadagnato molta attenzione. Era stato pensato come un esperimento di archiviazione digitale, per trasformare qualcosa di molto formale e fisso – l’archivio – in uno strumento aperto, giocoso, divertente, accessibile. Ora stiamo continuando a ripensare le parti digitali delle mostre e delle esperienze nei musei in generale. È qualcosa che mi piace molto. Contribuisce a cambiare il modo in cui le persone guardano alle istituzioni, in alcuni casi impenetrabili. E dall’altra parte i musei dovrebbero lavorare per la società in un modo molto diretto, legati alla propria comunità di riferimento, per evitare che si venga a creare una situazione dentro o fuori: con la mostra fisica dentro e tutto il resto fuori. Penso che i progetti digitali possano superare questo.