Storie Architettura d'alta quota (I Parte) Testo di Patrizia Malfatti Aggiungi ai preferiti Our Glacial Perspectives, Olafur Eliasson - Photo Oskar Da Riz Alla conquista delle cime con progetti che sfidano l’altitudine e le sue impervietà climatiche e atmosferiche. Scelti innanzitutto per il loro valore emozionale, culturale, ingegneristico o storico. Negli ultimi decenni progettare edifici in alta quota è diventata l’ultima sfida dell’architettura, oltre che certamente una necessità, conseguente al veloce sviluppo del turismo alpino. È a partire da fine Settecento che i rifugi naturali non soddisfano più le esigenze degli alpinisti, che iniziano a costruire luoghi di riparo nei punti strategici delle loro ascensioni con materiali recuperati in situ o portati in quota a spalla. L’avvento dell’elicottero, negli anni ’60, trasforma radicalmente l’architettura dei rifugi, il loro confort e approvvigionamento. Qui di seguito alcuni “esempi sciolti” di progetti, scelti semplicemente per il loro valore emozionale, culturale, ingegneristico, turistico o storico. Our Glacial Perspectives, Olafur Eliasson Arte in alta quota con Our glacial perspectives dell’artista danese-islandese Olafur Eliasson, inaugurata lo scorso autunno in Val Senales. L’opera si dipana per oltre 400 metri su un sentiero “didattico”, lungo la cresta del ghiacciaio Hochjornferner, sul Grawand, cadenzata da 9 porte e culminante in un padiglione ad anelli di vetro e acciaio. Una scultura che crede “nel potere dell’arte di creare consapevolezza attraverso l’esperienza emotiva, sensoriale e fisica” spiega Ui Kerbi, uno dei fondatori di TalkingWater, piattaforma di interscambio sul tema dell’acqua, nonché committente. “È un dispositivo che ci invita a impegnarci dalla nostra posizione di carne e ossa”, spiega Eliasson “su prospettive planetarie glaciali”. Indicando l’orizzonte, i punti cardinali e il movimento del sole, l’opera dirige l’attenzione verso una prospettiva planetaria che si focalizza sui cambiamenti climatici che stanno influenzando anche lo stesso ghiacciaio. Ötzi Peak, noa* network of architecture © Alex Filz Altra architettura mozzafiato, sulla stessa montagna, ma più in alto, a 3.251 metri, è l’Ötzi Peak, terminata la scorsa estate da noa* network of architecture, con all’attivo interessanti progetti in ambito alpino. In sintesi: una piattaforma panoramica che ingloba la preesistente croce di vetta, offrendo agli escursionisti e agli ospiti del vicino albergo, il più in alta quota d’Europa, una suggestiva esperienza alpina. Apparentemente sospesa nel vuoto, in realtà appoggiata al terreno solo nei punti strettamente necessari, si integra nel paesaggio grazie alla forma organica, riflesso della topografia del luogo. La pedana di griglie, sorretta da travi sottili e contornata da lastre in acciaio corten, che esposte alle intemperie hanno subito una modifica della colorazione originaria, diventa un unicum con l’ambiente. Attraverso una feritoia, lo sguardo viene indirizzato verso il confine austriaco, nel punto di ritrovamento di Ötzi, l’uomo dei ghiacci. Messner Mountain Museum, Zaha Hadid Architects Di cima in cima, incontriamo uno degli ultimi progetti di Zaha Hadid che, nel 2015, firma il Messner Mountain Museum a Plan de Corones, in Trentino, a 2.275 m. Con al suo attivo precedenti architetture d’alta quota, qui Zaha Hadid Architects firma un progetto all’avanguardia. Con sviluppo prevalentemente ipogeo, su tre livelli, dei 1000 m2 di area solo una piccola parte è edificata fuori terra, con un impatto visivo minimo. Soluzione che permette agli spazi di avere una temperatura costante durante tutto l’anno, garantendo anche un’ottimizzazione energetica. Dedicato alla storia dell’arrampicata, il museo riproduce l’aspetto dell’alta montagna, con i suoi picchi e i suoi massicci in pietra. Bivacco Luca Pasqualetti, Roberto Dini e Stefano Girodo - Photo Grzegorz Grodzicki Portandoci in Valpelline, in Val d’Aosta, sulla cresta del Morion, da fine 2018 si erge il bivacco Luca Pasqualetti, a 3.290 m, nato da un’idea delle guide locali per migliorare la fruibilità alpinistica di una zona dai notevoli ma dimenticati itinerari. Iniziativa che ha subito incontrato il desiderio dei coniugi Pasqualetti di dedicare un bivacco al figlio, tristemente scomparso in montagna. Progettato da Roberto Dini e Stefano Girodo, in collaborazione con LEAPFactory, questa architettura minimale in legno e acciaio a due falde, secondo l’archetipo del ricovero, è collocata in un punto remoto e dal difficile accesso, raggiungibile in 5-6 ore dai rifugi o bivacchi più vicini: in altre parole, una grande sfida progettuale. La messa a punto di una struttura isolata da ogni tipo di rete e sollecitata da agenti atmosferici estremi ha imposto scelte costruttive della massima semplicità ed efficacia, abbinate ad altissima protezione e resistenza. Ogni componente, montato a secco, riciclabile e certificato ecologicamente. è stato opportunamente concepito in funzione della trasportabilità e leggerezza. Un pannello solare a batteria garantisce l’illuminazione. L’interno è un guscio accogliente con una finestra panoramica sul Monte Rosa e il Cervino.