Bjarne Mastenbroek e Iwan Baan indagano le fondamenta dell’architettura
Dig it! È possibile riconciliare costruito e suolo terrestre? In queste sorprendenti 1.400 pagine lo studio SeARCH e il celebre fotografo di architettura cercano di dimostrarlo “scavando” nella storia.
Il connubio architettura e suolo terrestre si è andato perdendo nel tempo e ora più che mai è una questione urgente, anzi urgentissima. Sulla coscienza di tutti. Architettura e ambiente si sono allontanati sempre più una dall’altro, dissociandosi e diventando nemici irriducibili. Con questo ricchissimo compendio, Dig it! Building Bound to the Ground, che non è né un trattato enciclopedico né un atlante geografico l’autore – l’architetto olandese Bjarne Mastenbroek, impegnato dal 2002 con il suo studio SeARCH nell’esplorazione dell’intrinseca relazione fra costruito e luogo – sostiene, e soprattutto, si auspica, che occorre tenere in maggiore considerazione il sito in cui un edificio viene inserito, oltrepassando il cosiddetto pensiero modernista. L’architettura deve essere intesa come estensione della crosta terrestre, non un oggetto isolato ma legato alla terra e alle persone.
Il volume rivela la bellezza e la diversità delle diverse culture edilizie, intelligenti e rilevanti di fronte alle sfide dell’ambiente urbano e naturale, e traccia la tumultuosa storia dell’umanità attraverso le impronte costruttive che ha lasciato sulla terra. E che in certi, e molti, casi hanno però snaturato il paesaggio. Sembra proprio che l’uomo abbia abdicato all’ambiente e ora, l’urgenza, è quella di riportare il paesaggio a uno stadio accettabile attraverso sforzi di riconnessione nel tentativo di comprendere la relazione tra il costruito e il “suo” terreno. Nel corso dei secoli non sono tuttavia mancati, sottolinea Mastenbroek, tentativi di instaurare una forma di connessione con la terra, legati a ragioni rituali e religiose, in cerca di protezione o equilibrio. Quello che impressiona è che in questa lunga storia iniziata 2,6 milioni di anni fa, per il 99% della sua esistenza l’umanità ha goduto di un rapporto simbiotico con la natura, poi andato perso. L’evoluzione dell’architettura sembra essere stata il distaccarsi dalla natura e il 1964 è indicato come il momento topico. La rivoluzione biotecnologica ci fa considerare che un ribilanciamento fra biologia e tecnologia, tra vita e costruito è essenziale. Nella storia ci sono stati momenti – Classicità, Illuminismo e Modernismo – in cui l’uomo si è sentito separato e superiore alla natura definendo le sue regole e i suoi ordini.
Ricchissimo di materiale iconografico, dai servizi fotografici di Iwan Baan a piante, planimetrie, spaccati, disegni, conversazioni con alcuni architetti, e cucito dalla grafica innovativa dello studio Mevis & Van Deursen, il libro è diviso in 6 capitoli, o “strategie”, per connettere architettura e paesaggio, edifici e superficie terrestre.
La prima sezione, Bury (sotterrare), si riferisce a quegli edifici costruiti sotto la superficie terrena, che regalano un paesaggio sovrastante ininterrotto, come il complesso delle chiese etiopi Biete Ghiorgis Lalibela o gli antichissimi Yaodong – le case delle caverne – dell’altopiano cinese del Loess, ancora oggi abitati, fino a costruzioni più contemporanee come la chiesa Temppeliaukio a Helsinki di Timo & Tuomo Suomalainen o il Museo marittimo danese di BIG a Helsingør. Nel capitolo successivo Embed (incorporare), edifici e costruito condividono una posizione paritaria sulla superficie terrestre, come il teatro di Epidauro, il villaggio rurale di Sar Agha Seyed in Iran fino all’iconica Casa sulla cascata di F.L. Wright e il complesso residenziale di Halen in Svizzera di Atelier 5 degli anni ‘50. Nella sezione Absorb (assorbire) si intende invece l’architettura come geologia. Ad esempio vengono presi quegli edifici costruiti in superficie, ma che ricevono “informazioni” da sottoterra. Così il Costa Brava Clube, a picco sul mare in cui la topografia è parte integrante dell’edificio stesso o Villa Malaparte, che prolunga la scogliera con il suo rosa artificiale. Nel fondersi con il terreno, entrambi gli edifici invertono e oscurano la topografia originale e per comprendere il dialogo tra il loro costruito e il terreno occorre entrarvi. In Spiral (spirale), il quarto capitolo, il terreno si contorce moltiplicando la superficie dell’edificio senza necessariamente creare dei piani. Architetture nate non per necessità, ma come elementi cerimoniali. I primi tentativi, gli ziggurat nell’antica Mesopotamia, sono avvicinamenti al cielo, al sacro e al divino. La spirale, ricorda l’autore, è una forma d’altronde molto diffusa in natura, a partire dalla struttura del DNA per terminare con la distribuzione delle stelle nella galassia. Gli edifici della sezione Carve (scavare) sono invece scavati al loro interno dando vita a un paesaggio di aria e luce, come il MASP di Lina Bo Bardi a San Paolo o l’Indian Institute of Management Ahmedabad di Louis Kahn, mentre in Mimic (imitare) l’architettura impara dal paesaggio simulandone le caratteristiche e i sistemi naturali. Qui costruito e paesaggio iniziano a integrarsi come avviene nell’Opera House di Sydney di Jørn Utzon o nel complesso Jeanne Hachette di Jean Renaudie a Ivry sur Seine.
Questo importante volume – un incredibile excursus rivelatorio della connessione esistente tra uomo e terra rispetto alla cultura del costruire – lancia il suo appello finale: occorre utilizzare le risorse in modo intelligente, per lasciare che la ‘natura’ abbia più spazio per sopravvivere.
Titolo: Dig it! Building Bound to the Ground
Autore: Bjarne Mastenbroek - SeARCH
Foto di: Iwan Baan
Casa editrice: Taschen
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 1.390
Lingua: inglese