Cina, cresce la domanda interna di arredo. Si conferma il made in Italy
Nel 2021, +32,98% di esportazioni di mobili italiani. Urbanizzazione e classe media i fattori propulsivi. Fra le incertezze, la crisi del settore immobiliare e la mancanza di una politica di sistema
Un mercato in positivo, grazie soprattutto alla rapida crescita della domanda interna, ma anche una realtà complessa e sfaccettata di cui l’Italia, come il resto dell’Occidente, ha ancora una conoscenza parziale. Approfondire l’andamento del settore dell’arredamento in Cina è una sfida che parte dai numeri. Nel 2021, secondo i dati ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), si è registrato un +32,98% di esportazioni italiane di arredo rispetto all’anno precedente, per un totale di 670 milioni di dollari. Secondo i dati cinesi, la domanda di importazioni italiane è aumentata dell’11,9%, con l’Italia primo Paese fornitore per la Cina, con una quota di mercato, da gennaio a novembre 2021, che si attesta al 29,3%. Come spiega Gianpaolo Bruno, direttore dell’ufficio ICE di Pechino, il confronto fra i dati Istat e quelli diffusi dal Governo cinese è da prendere con cautela. Ci sono differenze di carattere tecnico, che rendono più attendibili i dati italiani nel rapporto bilaterale, mentre i numeri cinesi sono fondamentali per un benchmark con gli altri Stati e per comprendere la quota di mercato che il made in Italy riveste in Cina.
“Il mercato dell’arredamento è andato in modo egregio, nella prima parte del 2021, grazie anche alla crescita del Pil, +8%. Deve essere ormai riconosciuto che la Cina è il principale produttore ed esportatore di mobili nel mondo – il saldo per l’Italia, infatti, è negativo, una tendenza che sta aumentando negli ultimi anni”, commenta Bruno. “La performance di crescita del 2021 è dovuta, in primis, alla domanda interna, sia di importazioni sia per produzione, come effetto di base statistica rispetto ai valori depressi del 2020. Quindi, l’incremento dei processi di urbanizzazione del Paese e della disponibilità economica delle famiglie, con la conseguente espansione dei consumi che mirano a un benessere più diffuso e a un miglioramento del proprio status socio-economico, soprattutto nelle città di seconda e terza fascia”.
I dati dei singoli segmenti produttivi italiani, come mobili in legno, per sedersi, gli imbottiti, hanno registrato, salvo un paio di eccezioni, tassi di crescita a doppia cifra nel 2021. “Il made in Italy si conferma molto apprezzato, sinonimo di creatività, affidabilità, gusto, lusso”, dice il direttore dell’ICE di Pechino.
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Dello stesso avviso, Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino, i fondatori dello studio Vudafieri-Saverino Partners, con sede a Milano e Shanghai, specializzato in progetti di architettura e design aziendale. “Continua ad esserci una grande passione per tutto ciò che è italiano; quello che manca ad oggi è una politica che aiuti il pubblico cinese a riconoscere ciò che lo è veramente da ciò che è imitazione. I margini di crescita sono enormi, ma serve un approccio di sistema”.
Per Vudafieri e Saverino, il mercato cinese, i cui principali distrettivi produttivi si trovano nelle provincie dell’est, come Zhejang, Guandong, Shandong, sta diventando più colto e attento a offrire soluzioni di qualità sempre maggiore, “dove le produzioni locali non sono più considerate inferiori o copie di quelle estere, ma risorse da cui attingere. Nello showroom Miracle Living, che abbiamo da poco inaugurato a Shanghai, c’è stata un’evoluzione culturale nell’attribuire un significato ai luoghi”, spiega il duo creativo. “In questo store, realizzato a quattro mani con Hangar Design Group, il concetto di retail esperienziale ha guidato il progetto con lo scopo di trasmettere sensazioni di benessere al cliente. Lo shopping non è più fine a sé stesso: qui si possono vedere opere d’arte contemporanea nella piccola galleria che ospita mostre temporanee, come fare una sosta nel relax corner in cui è stato ricavato un bar”.
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I consumatori cinesi, spesso giovani adulti che hanno studiato all’estero e sono entrati in contatto con il modo di intendere la casa e il design occidentale, sono in una fase di evoluzione. Se per Vudafieri e Saverino è la cucina la nuova protagonista, pratica ed esteticamente elegante, degli appartamenti, per Luca Nichetto, designer veneziano, attualmente di stanza in Svezia, cucina e camera da letto rimangono ambienti conservativi, mentre è l’ingresso, lo spazio dedicato all’accoglienza dell’ospite, a essere interessato da inedite proposte d’arredo. Nel suo curriculum di matrice internazionale, Nichetto vanta un’esperienza sul campo di tre anni in una start up cinese, Zaozuo, che da piccola realtà con 15 dipendenti, nel 2015, è arrivata ad averne 200, nel 2018. “Dato che, di solito, i prodotti di design sono destinati a una fascia alta di pubblico, è stato entusiasmante progettare, per la prima volta, pezzi indirizzati alla classe media”. A suo avviso, il tema centrale, quando si parla di Cina, è la comprensione della diversità – “copiare il maestro, per la cultura orientale, è segno di apprezzamento per il lavoro svolto” – e il riconoscimento di un mercato dai numeri e dal potere economico enormi, verso cui troppo spesso manifestiamo ancora superiorità e arroganza. “Come già capitato in precedenza con i Paesi emergenti, le aziende hanno rielaborato prodotti di successo, adattandoli a uno specifico mercato. Il made in Italy ha fatto affidamento su rivenditori e distributori che, per quanto bravi, riferiscono sempre il già esistito. Manca la progettualità verso l’educare al valore. Per questo è fondamentale il corretto posizionamento del made in Italy”, suggerisce Nichetto. “Tutti vogliono il bello, ma c’è un’evoluzione in corso: non basta più essere la pubblicità di un brand, come è spesso accaduto nella moda, oggi i giovani creano il proprio look, mixando alto e basso, e anche nel design fanno attenzione al rapporto fra locale e globale”.
La differenza cruciale, secondo il designer veneziano, fra fare design in Italia, Europa e Cina è la strutturazione del tessuto imprenditoriale. “Le PMI sono l’El Dorado della sperimentazione, già in Europa, se non offri soluzioni a tutti i problemi, non sei performante. In Cina, questo discorso esplode all’ennesima potenza. In più, nel mercato cinese la distinzione fra design e arte non è ancora così netta. Ciò che serve al settore non sono nuove progettualità calate dall’alto, ma un percorso che abbraccia e conduce ciò che si sta sviluppando”. Il futuro del mercato dell’arredamento cinese, infatti, presenta potenziali rischi, dovuti ai rigorosi lockdown interni, a una fase congiunturale complessa e incerta – “si prevede un dimezzamento del Pil nel 2022”, commenta il direttore dell’ICE di Pechino -, e allo scoppio della bolla speculativa del settore immobiliare, determinata dalla crisi debitoria del più grande gruppo del Paese, Evergrande. “La forte spinta all’urbanizzazione e la revenge spending dei consumatori di prima fascia sono i fattori che manterranno alta sia la domanda di made in Italy sia la produzione interna”, conclude Bruno.