Città dei 15 minuti: per costruire un modello policentrico ci vuole immaginazione
Viaggio alla scoperta del chiacchierato modello teorizzato dall’urbanista Carlos Moreno. Ne parliamo con l’architetto urbanista Federico Parolotto, Ceo di Mic-Hub
Il modello della Città dei 15 minuti, proposto nel 2016 dall’urbanista Carlos Moreno, si è consolidato nell’immaginario collettivo durante la pandemia, un periodo inedito in cui abbiamo (ri)scoperto l’importanza di vivere in centri urbani a misura d’uomo, fondati sulla prossimità, la fruibilità e il policentrismo. Nel frattempo, questo concetto si è trasformato in un asset strategico in termini commerciali, immobiliari e reputazionali, cavalcato insistentemente da aziende, comunicatori e politici.
Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, ha inserito la Città dei 15 minuti nel suo programma elettorale del 2020, anche se un sondaggio – pubblicato nello stesso anno dal Paris Urbanism Agency (Apur) – ha mostrato che il 94 per cento dei parigini viveva già a non più di cinque minuti a piedi da una panetteria o una pasticceria; dati simili sono stati registrati per le farmacie e altri servizi essenziali. L’area urbana di Parigi è ormai da tempo “a 15 minuti”, perché quasi tutto è raggiungibile velocemente senza l’automobile. Stando a un rapporto dell’Institute for Transportation and Development Policy, la capitale francese è la miglior metropoli al mondo per vicinanza agli ospedali e alle scuole, nonché la terza per numero di servizi raggiungibili a piedi, in bici o con i mezzi pubblici. Dall’altra parte, vista la popolarità del tema, sono perfino nate delle teorie cospirazioniste: i negazionisti della Città dei 15 minuti pensano che questo paradigma sia solo una scusa per dividere le città in «ghetti» e rinchiudere le persone dentro «gabbie d’oro». Ovviamente nulla di tutto ciò è vero: un centro urbano policentrico deve avere una rete di trasporto pubblico ad alta frequenza e capillare, in grado di portarci rapidamente ovunque (non solo nel nostro – seppur servitissimo – quartiere).
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Ora, a quasi un decennio dalla sua genesi ufficiale (non ufficiosa), questo modello di centro urbano a mo’ di arcipelago ha raggiunto la sua maturità: è giunto il momento di andare oltre le definizioni e i minuti per raggiungere un determinato luogo. "Bisogna ragionare sull’espansione della qualità urbana. La compressione del tempo non è per forza associata a una miglior fruibilità. Al di là dei 15 minuti, è importante realizzare una città dalle distanze brevi. I processi di rigenerazione urbana si erano approcciati ai “mix urbani” e alla mobilità sostenibile ben prima della diffusione di questo concetto", racconta l’architetto urbanista Federico Parolotto, Ceo di Mic-Hub. Secondo l’esperto, grazie alla Città dei 15 minuti "si è diffusa una maggior consapevolezza della qualità dello spazio urbano. Anche a Milano le recenti trasformazioni si sono fondate sull’accessibilità dei servizi, la prossimità e il trasporto pubblico: tutti elementi che compongo il valore immobiliare di una città". Va specificato, però, che nel capoluogo lombardo è in corso una fase di allargamento del centro, che non significa necessariamente policentrismo.
Proseguendo oltre, un’altra sfida chiave consiste nel coniugare una città densa, ricca di servizi a “portata di mano”, con la necessità di consumare meno suolo. Nel 2022, secondo l’Ispra, le coperture artificiali in Italia sono cresciute del 10,2 per cento, con Milano al terzo posto tra i capoluoghi di Regione per incremento della cementificazione. "Il trasporto pubblico ci consente di immaginare di ridurre il numero delle strade. Mi riferisco ad arterie funzionali al trasporto privato. È evidente che andare verso processi di addensamento e di compressione, tipici della Città dei 15 minuti, consentirebbe di fare degli straordinari cambiamenti sui sistemi infrastrutturali, riducendoli e smontandoli", dice Parolotto. Si tratta però di un’impresa complessa, perché nel secondo dopoguerra le città sono state costruite per soddisfare il boom della motorizzazione: "È stata la negazione della Città dei 15 minuti. Per alcuni territori italiani, puntare sulla densificazione è a dir poco velleitario, e la colpa è dei progetti di dispersione territoriale avviati negli Anni Sessanta", conclude l’architetto.