Creatività e rigenerazione urbana. Intervista a Charles Landry
L’inventore del concetto di “creative city” è stato invitato in Italia dal Salone del Mobile per introdurre con un suo intervento la presentazione della ricerca Eco (Sistema) Design Milano. Ci ha spiegato come sia possibile attivare forme di progettualità diffusa nello spazio urbano e perché secondo lui Milano da città piena di progetti dovrebbe diventare una città-progetto orientata al bene comune
Charles Landry (1948) si interessa fin dai primi anni Ottanta all’arte di fare la città ("The Art of City Making” è anche il titolo di un suo libro pubblicato nel 2006) e all’applicazione di categorie liquide come la creatività e l’immaginazione alla scala metropolitana. Tra le sue convinzioni ci sono il fatto che la cultura sia uno strumento potentissimo per la rinascita urbana, e che solo una collaborazione radicale tra le diverse anime della città permetta di sprigionare sufficienti energie creative per arrivare allo scopo. Abbiamo approfittato della sua presenza alla presentazione di Eco (Sistema) Design Milano, il Report dedicato alla prima analisi della Settimana del design di Milano, ideato e curato dal Salone del Mobile con la supervisione scientifica del Politecnico di Milano per fare una chiacchierata con lui su questi temi, concentrandoci in particolare sulla città e sul suo prossimo futuro.
Voi milanesi sapete benissimo che cos’è il design, non devo certo spiegarvelo io, e sapete altrettanto bene che la città è fatta di tante cose: persone, attività, infrastrutture. Questi elementi però vengono di rado presi in considerazione tutti insieme, a 360 gradi. Potreste essere ancora più ambiziosi di così e candidarvi a essere non soltanto la capitale del design “nel” mondo ma la capitale del design “per” il mondo. In apparenza cambia solo una preposizione, in realtà la differenza è sostanziale. Si tratta di avere una prospettiva etica e non limitarsi a curare la propria reputazione di città “cool” e alla moda.
Come ho spiegato nella mia presentazione, per rendere la città un posto migliore è necessaria una collaborazione radicale tra tutte le sue parti - il settore pubblico, i privati, le ONG, il mondo ac-cademico. Tutto si può disegnare, non soltanto gli oggetti ma anche atmosfere, concetti, paradigmi. Francoforte, per esempio, sarà la Capitale Mondiale del Design nel 2026 e ha scelto come tema “De-sign for Democracy. Atmospheres for a better life”. Io stesso sono tra gli organizzatori di un festival dedicato alla burocrazia creativa (The Creative Bureaucracy Festival, la cui prossima edizione si terrà a Berlino nel marzo 2025, n.d.r.).
Secondo me si tratta di una combinazione di duro lavoro e di intuizioni momentanee. In inglese diciamo che la creatività è al 10% “inspiration”, ispirazione, e al 90% “perspiration”, cioè sudore. Credo però che la vera sfida sia avere una creatività diffusa. Non tutti sono creativi allo stesso modo, ma tutti possiamo impegnarci per diventare più creativi di quello che già siamo. Non penso neppure che si debba esserlo 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, intendiamoci. Ci sono situazioni in cui è meglio affidarsi a ricette collaudate. Se devo preparare un piatto di pasta per cena, per esempio, mettermi a sperimentare nuove tecniche di cottura potrebbe non essere la soluzione più efficiente. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra pensiero divergente e convergente, tra apertura mentale e capacità di rimanere focalizzati sull’obiettivo.
Helsinki e Copenhagen sono due ottimi esempi. La capitale finlandese presta da sempre molta atten-zione alla qualità della vita dei suoi abitanti. Nel 2012, quando è stata Capitale Mondiale del Design, ha scelto come tema proprio “Embedding design in life”, il progetto integrato nel quotidiano. Volen-do citare solo un minuscolo accorgimento che trovo molto intelligente, i marciapiedi nelle vie del passeggio sono riscaldati da sotto per evitare che vi si depositino la neve e il ghiaccio. In Danimarca invece hanno disegnato percorsi alternativi per i ciclisti, scorciatoie che rendono la bicicletta il mez-zo più veloce per muoversi in città.
Ci sono stati grandi cambiamenti, soprattutto legati al nostro rapporto con le distanze. Molte per-sone lavorano da casa, o comunque non sono costrette ad andare in ufficio tutti i giorni. Questo ha alleggerito la pressione sulle grandi città favorendo i centri più piccoli, per lo meno i più intrapren-denti. Faccio un esempio vicino a me. Stroud è un ex villaggio operaio nella campagna del Glouces-tershire dove prima della pandemia c’era già un certo fermento: l’artista Damien Hirst ha lì il suo studio, ci sono una delle più importanti fonderie artistiche del paese e un festival internazionale ded-icato ai tessuti. Nel 2021 questa cittadina è stata eletta miglior posto in cui vivere nel Regno Unito. Certo, i prezzi sono saliti alle stelle.
Questo è un grande problema che il mercato non può risolvere da solo. Come dico spesso, la sua en-ergia dovrebbe essere convogliata verso obiettivi più generali attraverso un sistema di regolazione pubblica e di incentivi. Sul lungo termine bisognerebbe anche riuscire a creare consapevolezza, far capire ai proprietari e agli immobiliaristi che il capitalismo selvaggio rischia di avere effetti distruttivi per tutti.
È uno dei grandi dilemmi di fronte ai quali ci troviamo tutti: l’espressione artistica e la creatività sono cose fantastiche e rendono le città più vibranti, ma nel momento in cui una città diventa più vibrante comincia ad attrarre più persone e si innesca un processo di gentrificazione. Però tutti hanno bisogno di vivere in posti piacevoli, non solo gli hipster. Ci deve essere un’alleanza tra il settore privato e il pubblico, inoltre non bisogna tralasciare cose magari meno “glamour” dell’arte ma ugualmente importanti come l’housing sociale e le varie forme di habitat cooperativo.
Mi piacciono i graffiti perché consentono a chiunque di esprimersi, chiunque può usare un semplice muro come se fosse una galleria d’arte. Spesso, poi, raccontano storie di frustrazione. Tra i miei es-empi preferiti, quelli che uso spesso nelle mie presentazioni, ce n’è uno che dice “Wasted Youth”, un’espressione che può voler dire due cose: gioventù sprecata oppure gioventù intossicata da alcool e droghe. Ho cominciato proprio così a interessarmi alla creatività alla scala della città. Quando ero giovane avevo l’impressione che le persone intorno a me fossero come bloccate, che non riuscissero a esprimere appieno il loro potenziale. Mi sono chiesto se ci fosse un modo per aiutarle e se fosse meglio farlo a livello individuale oppure cercare di mettere in moto una sorta di energia collettiva.
Il mio passaggio a Milano è stato molto rapido. Prima di venire qui però sono stato a Torino, e lì ho visto una scritta che invitava a ribellarsi contro la bruttezza. Come non essere d’accordo?