Manifestazioni Hans Ulrich Obrist: “È importante investire sui progetti capaci di avvicinare, di unire” Testo di Paola Carimati Aggiungi ai preferiti Hans Ulrich Obrist - Ph. Tyler Mitchell Il ricordo di Enzo Mari, le riflessioni di Édouard Glissant e il sogno nel cassetto del più autorevole dei curatori contemporanei. Che non teme l’intelligenza artificiale e sfida l’algoritmo con la forza imprevedibile dell’empatia Architetto e direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra, Hans Ulrich Obrist è senza dubbio il curatore più autorevole sulla scena intellettuale contemporanea. Schivo e riservato, ma sempre pronto all’ascolto, colleziona post-it autografati con dedica dai protagonisti del mondo dell’arte, dell’architettura e del design. Il suo mondo è una wallpaper di tessere gialle scelte per mappare le infinite possibili connessioni tra discipline e campi del sapere. Unione, dialogo ed empatia sono tre parole che tornano in questa lunga conversazione telefonica. E mai per caso. “In un'epoca come quella in cui viviamo, molto polarizzata, credo sia importante investire sui progetti capaci di avvicinare, di unire”, superare l’individualismo del pensiero dominante per Hans Ulrich Obrist è l’unica via. Ci hanno provato con successo i Formafantasma, “Cambio, la mostra inaugurata nel 2020, proprio alle Serpentine Galleries, è un modello di costruzione del sapere che ha fatto scuola”, gli anelli del tronco d’albero sono l’unità di misura di una ricerca che per la prima volta ha unito coscienze e conoscenze con l’unico obiettivo di prendersi cura dell’ambiente. “Oggi c’è maggiore consapevolezza rispetto alle urgenze imposte dalla crisi climatica: i progetti sembrano convergere verso il medesimo campo d’azione”, con una ricaduta effettiva sui processi produttivi. Ripensare i tempi del consumo, scalare la marcia, allungare l’orizzonte: “Non sono concetti nuovi. Enzo Mari non ha mai smesso di ricordarci che il design può definirsi tale solo quando dura”. Endurance, resistenza: Obrist torna più volte sul concetto filosofico di ‘longue durée’, in contrapposizione alla modalità fast. “Un omaggio al teorico francese Fernand Braudel e al grande maestro italiano”, la cui mostra, co-curata con Francesca Giacomelli e inaugurata in Triennale nel 2020, è migrata al Design Museum di Londra. Enzo Mari ha influenzato molti giovani designer, in Italia e all’estero, e la sua proverbiale radicalità, di uomo e di professionista, rimane un punto di riferimento: “il suo lavoro è una cassetta degli attrezzi indispensabile per chi si avvicina a questa professione”. In Remember Nature: 140 Artists’ Ideas for Planet Earth, il libro scritto a quattro mani con Kostas Stasinopoulos (ED. Penguin), il curatore ascolta l’attualità per raccogliere un’ampia selezione di artisti, architetti e designer le cui pratiche si fanno diversamente impegnate. Martino Gamper, ma anche Maya Lin, l’architetta che firmò il commovente monumento ai caduti del Vietnam sul Mall di Washington: nel 2021 ha piantato 49 alberi morti a Madison Square Park. “Ghost Forest, il nome dell’installazione, è il suo modo di denunciare gli effetti della crisi climatica”, come anche ES. Devlin. “L’artista e costumista che progetta le scenografie per i tour di Beyoncé, a Las Vegas ha allestito The Sphere: una mega sfera per la proiezione delle immagini di oltre 4000 specie in via di estinzione”. Solo in Nevada. E ancora: “Andrea Bowers, con Chandelier of Interconnectedness e Political Ribbons trasforma l’arte in atto di denuncia a difesa dell’ambiente. Mentre Alexandra Daisy Ginsberg utilizza l’intelligenza artificiale per coltivare il giardino delle meraviglie. Un luogo a misura di impollinatori dove api e insetti possono trovare riparo, ristoro e contribuire con il loro instancabile lavoro, alla sopravvivenza dell’ecosistema planetario”. Opposta alla velocità del fast design, contrariamente a quanto si possa pensare, non è la modalità slow, bensì l’attivismo. La lentezza è una parola romantica che appartiene al passato, il presente chiama all’azione. Cosa abbia influito sul cambio di passo creativo dei protagonisti di oggi non è certo. “Certo è che il tema della cura dei luoghi e degli oggetti è sempre più centrale nelle esplorazioni progettuali di giovani e meno giovani: il paesaggio creativo si sta popolando di comunità di professionisti che mettono al centro del proprio processo creativo sistemi e materiali che crescono, cambiamo e si modificano perché vivi”. Anche l’impatto di intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso su design e architettura è un tema al centro delle riflessioni del direttore delle Serpentine Galleries. “Tutti conosciamo la storia di Demis Hassabis: il Ceo di Google DeepMind è riuscito ad allenare un algoritmo in grado di battere il migliore giocatore al mondo di GoPro”, pare impossibile, ma è successo. “Se la sfida di domani fosse formare un curatore artificiale alla scrittura di una mostra, io mi metterei in gioco, sicuro che il pubblico sappia cogliere le differenze”, è evidente che vincerebbe facile, ma non solo per via della sua fama. “Così come non esistono poesie create dall’intelligenza artificiale”, puntualizza. “Così le curatele. Perché l’empatia che trasmettono le forme d’arte non è un’informazione replicabile da un algoritmo quanto da un programmatore”, conclude serafico e sempre aperto al dialogo. Stretto tra scenari distopici e virate green, ciò che appare evidente è che il design, da solo, non ha la forza di invertire la rotta di un mondo alla deriva: l’ecologia deve essere considerata un criterio valutazione al pari del profitto. Per affrontare l'emergenza climatica, la nostra intera società deve cambiare radicalmente strategia: “Lo stop imposto dal Covid ha dimostrato ciò che sostiene il sociologo e antropologo francese Bruno Latour, ovvero che ’è finita per noi l’idea dello spazio infinito. Ora siamo responsabili della sicurezza di questa cupola sovrastante tanto quanto lo siamo per la nostra salute e ricchezza. Pesa su di noi, corpo e anima. Per sopravvivere in queste nuove condizioni dobbiamo subire una sorta di metamorfosi’”, e la pandemia è stata solo una prova generale di ciò che ci aspetta. “Allargare la visione, osservare e includere la complessità: discriminazioni e privilegi, scontri identitari e disabilità, divaricazioni sociali, di genere, classe e religione. Perché quello ambientale è un tema in cui convergono molteplici fragilità che solo un approccio intersezionale può aiutare a comprendere”. Édouard Glissant, uno dei filosofi più conosciuti nel mondo dell’arte, del design e dell'architettura, ha posto la pluralità al centro delle sue riflessioni. “Come anche i fatti di attualità dimostrano, abbiamo un disperato bisogno di unità, di un orizzonte che crede nel valore del bene comune contro l’isolazionismo”, perché le spinte alla globalizzazione sono sempre più forti e pericolose. “Il rischio di trincerarsi dietro forme di esasperato nazionalismo o al contrario di restare travolti da una dilagante omologazione delle differenze, è già evidente. Resistere e mediare è una forma di progetto collettivo che può farsi manifesto di un nuovo e rinnovato dialogo globale”, perché come scrive Glissant, “è nello scambio con l'altro che la nostra identità si arricchisce e diventa più interessante. Abbiamo bisogno di una forma di mondialité in grado di arginare le spinte della globalizzazione e di spalancare le porte a una nuova sensibilità, più tollerante e inclusiva. Un obiettivo raggiungibile solo investendo nell’educazione: “La scuola del futuro non può che replicare l’impostazione collaudata dal Black Mountain College, l’istituto del North Carolina, famoso nell’America negli anni Cinquanta”, un modello didattico decisamente innovativo, nel quale Albert Einstein e Josef Albers si scambiavano saperi e studenti. “I superstiti mi hanno raccontato di una grande comune dove alunni e professori hanno vissuto insieme e insieme hanno gettato le basi di un sapere nuovo e rotondo”, chiude il curatore, “è sempre una questione di unione, dialogo e progetto”. Quello nel cassetto di Hans Ulrich Obrist. Ad maiora. —