Manifestazioni I 60 anni del Salone del Mobile.Milano diventano illustrazioni Testo di Marilena Sobacchi Aggiungi ai preferiti Courtesy Salone del Mobile.Milano Abbiamo incontrato Emiliano Ponzi nel suo studio e ci siamo fatti raccontare “come” e “quanto” le sue illustrazioni raccontino la manifestazione del design più celebre al mondo Emiliano Ponzi è un maestro nel trasferire su carta immagini e momenti “sospesi”, che diventano subito rappresentazioni iconiche, lasciando, tuttavia, immaginare intriganti sviluppi narrativi. I suoi lavori si distinguono per forme, composizioni, linee, scale cromatiche. Diremmo che il design e l’architettura sono nativi nel suo immaginario e istintivi nel suo modo di raccontare il mondo. Così, quando il Salone del Mobile.Milano bussa alla sua porta per proporgli di realizzare la campagna di comunicazione della 60ª edizione, la risposta è immediata, semplice, spontanea. Ma la responsabilità grande. Sente, Emiliano, che nei sei manifesti che gli sono stati commissionati, deve trasferire tutto ciò che è stato e l’aspettativa di ciò che sarà. Tutto l’heritage, la suggestione e il costume che derivano da sei decadi di storia. E che storia: quella della più importante Manifestazione del design al mondo. Ci siamo fatto raccontare quest’avventura. Dall’inizio alla fine. Emiliano Ponzi, Ph. Ioan Pilat Squilla il telefono. È il Salone del Mobile.Milano. Non proprio la telefonata che uno si aspetta a fine novembre. Qual è stato il tuo primo pensiero, il tuo primo sentimento? Ho pensato che fosse un’occasione per realizzare qualcosa di bello in partnership con un’istituzione fondante come il Salone del Mobile.Milano in un momento altrettanto importante per Milano e per tutti noi. Quindi, ho sentito fin da subito un entusiasmo vero, genuino. E poi, l’onere e l’onore di portare avanti una tradizione straordinaria di manifesti e comunicazione. Mi sono prefigurato un viaggio sfidante in cui mi sarei dovuto far interprete di uomini e donne che in sessant’anni hanno contribuito a far sì che Milano diventasse un’occasione di scambio culturale. Ho accettato senza esitazioni. Ti è stato dato un brief, immagino. Ovviamente. E anche molto interessante. Non mi è stata chiesta una comunicazione mono soggetto ma sei manifesti in grado di rappresentare ciascuno un momento miliare della storia del Salone del Mobile e di Milano. Sei illustrazioni per altrettante decadi, dagli anni ’60 ai giorni nostri. I temi proposti sono stati molteplici: dalla Milano operaia a quella pop degli anni ’80, della moda e del design, la Milano da bere per intenderci. Passando per le icone architettoniche e culturali della città, dal Teatro alla Scala alla Fiera. Il Salone mi ha chiesto una grande operazione di sintesi per individuare gli elementi più rappresentativi della città e del suo rapporto con la Manifestazione. Ma anche un approccio e una visione trasversali, capaci di esprimere al meglio anche le contaminazioni insite in questo rapporto. È stato difficile immaginare un concept, una narrazione e un linguaggio e declinarli secondo le indicazioni date? Non così complesso, ma davvero stimolante. Il mio lavoro iniziale è consistito nel trovare un fil rouge che potesse legare questi sei manifesti, non a livello tematico, ma a livello stilistico e di linguaggio, un elemento che ne permettesse la riconoscibilità come corpus unico e armonico. Insomma, un tratto distintivo, al di là della gamma cromatica che si è scelto di utilizzare, ossia quella tradizionale del Salone: il rosso e il nero, con l’aggiunta del bianco e delle rispettive gradazioni. L’idea che mi è venuta, e che credo sia piaciuta, è stata quella di inserire il numero 60 in ognuna delle rappresentazioni interpretandolo in maniera differente e rendendolo parte integrante di ciascun disegno. A livello estetico, poi, ho cercato di lavorare su una comunicazione di impatto, capace di produrre quel “wow effect” che solo il Salone sa dare. Ho quindi voluto mettere al centro le persone – ossia chi fa e chi visita la Manifestazione, rappresentandone dunque l’anima – e i landmark di Milano: il Duomo, la Torre Velasca, il Teatro alla Scala, la Fiera, il tram…. E poi, non meno importante, ho cercato di rappresentare anche questa voglia di trovarsi insieme che genera il Salone, che non è solo business ma anche convivialità, divertissement e passione condivisa. Cosa c’è della tua personale relazione con il Salone in questi manifesti? Chi fa il mio lavoro, un po’ a metà strada fra arte e artigianato, deve avere un’identità forte in grado di relazionarsi con l’altro, il committente, per trovare un punto di incontro che faccia sentire tutti rappresentati, anche, cioè, chi osserva i manifesti. In questo caso, non si tratta solo del pubblico milanese, ma di un parterre nazionale e internazionale, che deve essere in primis sedotto dall’estetica, poi apprezzare il concept e sentirsi parte di quanto illustrato. In ogni disegno, l’importante è lasciare sempre uno spazio vuoto perché ciascuno proietti qualcosa di sé, non risolverlo completamente per lasciare un margine di interpretazione libera. Ti impensieriva dover lavorare su un momento di celebrazione? Questo è stato un altro punto fondamentale per me: in effetti, non si è trattato di un lavoro classico, ma di rappresentare un anniversario importante dopo un periodo “buio” come lo sono stati questi due anni di pandemia, un nuovo punto di partenza. Ho sentito davvero un grande senso di responsabilità. Cosa ha nutrito il tuo immaginario visivo? All’inizio, ho fatto una ricerca abbastanza approfondita su quanto era stato fatto negli anni passati per capire se avesse avuto senso allinearsi come tono di voce o cercare di fare qualcosa di molto diverso. E se, da un lato, ho avuto la sensazione che fosse più giusto percorrere strade nuove, dall’altro, ho voluto riprendere degli elementi, vedi le cromie rosso, nero, bianco, per creare un filo, sottile, ma allo stesso tempo robusto, con quanto realizzato prima, proprio per rispettare l’identità del Salone. Dopo questo lavoro sulle reference, ho ripercorso con lo sguardo l’evoluzione dei costumi e della cultura di questo sessantennio e imboccato una strada diversa. Ci racconti i 6 manifesti? Vi racconto i sei concept, il bello sarà poi scoprirne le immagini. Il primo manifesto rappresenta un interno della Milano degli anni ‘60, per questo è in bianco e nero, con solo qualche un accenno di rosso come il quadro della Torre Velasca e di altri scorci della città. Il secondo ritrae la Milano operaia, che cresce e si costruisce, degli anni ‘70. Abbiamo, poi, la Milano da bere, della moda, delle feste, la Milano un po’ pop degli anni ‘80 – e, dunque, in questo caso, l’illustrazione è un trionfo del rosso in tutte le sue sfumature. Per gli anni ’90, mi sono lasciato ispirare dalla Scala e dal suo rapporto con la città e con il Salone, mentre per il primo decennio del 2000 mi sono concentrato sulla Fiera, sullo spazio disegnato da Massimiliano Fuksas. L’ultimo manifesto, che si concentra sul presente e apre al futuro, si focalizza sulla sostenibilità che a, oggi, è una delle priorità della Manifestazione. La tua creatività potrà essere esperita anche attraverso la realtà aumentata. Cosa ha implicato a livello lavorativo e a livello emozionale? Grazie alla collaborazione con Alkanoids, l’operazione molto interessante che abbiamo fatto con questi manifesti è stata aggiungere un nuovo livello di relazione e interazione tra l’illustrazione e l’audience attraverso la realtà aumentata. Inquadrando il QR code presente su ogni manifesto, attraverso l’applicazione ARIA, le illustrazioni si animeranno, uscendo da una dimensione statica e piatta per arrivare nella nostra realtà. Insomma, succederà in ognuna qualcosa, che desterà stupore ed emozione nello spettatore. A livello lavorativo il processo è quello dell’animazione, quindi un po’ più complesso di un semplice disegno perché implica la presenza di maggiori dettagli. A livello emotivo, è certamente gratificante e bello vedere i propri disegni prendere vita. Come hai vissuto il copy Join the Design Wave rispetto al tuo concept illustrativo? Copy e illustrazione necessariamente dialogano tra loro e hanno punti di contatto. In questo caso, il messaggio veicolato dalle parole è sì forte ma sufficientemente ampio da abbracciare tutti i manifesti. E qui sta la sua forza, la sua funzionalità. Illustrazione editoriale vs illustrazione pubblicitaria. Il tuo lavoro per il Salone dove si pone? Da nessuna e contemporaneamente da entrambe le parti. Di solito l’illustrazione editoriale è più libera, c’è un ampio margine artistico perché si vanno a illustrare dei temi che hanno meno a che fare con il commercio; mentre l’illustrazione pubblicitaria deve mantenere uno stretto rapporto con il prodotto che deve vendere ed essere, se vuoi, passami il termine, più funzionale che bella. Con questi manifesti non dobbiamo vendere nulla – né me né il Salone – ma solo esprimere al meglio una realtà. Per questo non sono stato “imbrigliato” né ce ne sarebbe stato bisogno. C’è qualcosa di tuo, una tua relazione personale con il Salone o un “tuo messaggio” insito in queste immagini? Sicuramente vi sono anche i miei ricordi e le mie sensazioni sia come visitatore sia come, diciamo così, protagonista della Manifestazione quando ho realizzato lavori e progetti per chi esponeva. Ma la cosa molto bella e più personale che si può trovare in queste illustrazioni sono gli oggetti di design (lampade, sedie, consolle, mobili) che ho disegnato e che non potevano essere “veri”, “realmente esistenti” per non essere “di parte”, ma sono il frutto della mia immaginazione. Un layer di originalità in più, accanto al soggetto. Courtesy Salone del Mobile.Milano 17 marzo 2022 Share