Sostenibilità Il design circolare in un’intervista a Mae-ling Lokko Testo di Salvatore Peluso Aggiungi ai preferiti Treshold of Return, Z33, ph. © Selma Gurbuz I progetti per la giustizia economica ed ecologica dell’architectural scientist in mostra alla personale Grounds for Return al museo Z33 di Hasselt, Belgio L’architetto, ricercatrice e scienziata Mae-ling Lokko si concentra su materiali sostenibili e sul riutilizzo di scarti alimentari. La mostra Grounds for Return, realizzata al museo Z33 di Hasselt, in Belgio, e da poco conclusa, era formata da una serie di grandi installazioni che esploravano i diversi aspetti di questi processi: tecnologici, formali, culturali, economici e politici. La "architectural scientist” ghanese-filippina parla del suo approccio unico attraverso il racconto delle opere in mostra. Healing Meadow, Z33, ph. © Selma Gurbuz Da dove deriva la tua definizione di architectural scientist? Ho studiato in un istituto di ricerca a New York chiamato Center for Architecture, Science and Ecology, che si occupa di chimica, biologia ed ecologia con uno sguardo umanistico, in particolare in ambito architettonico. Ecco da dove viene la definizione. È una disciplina vicina alle scienze delle costruzioni, ma con una maggiore attenzione verso gli aspetti formali ed estetici dei sistemi o delle tecnologie su cui si lavora. In generale, nel mio lavoro parto sempre da un’ipotesi materiale o tecnologica e sulle sue possibili applicazioni: controllo dell’umidità, filtraggio dell’acqua, resistenza meccanica. Molti altri progetti che riguardano i biomateriali ne esplorano principalmente il lato architettonico, per me questo è secondario e va sviluppato dopo l’ipotesi tecnica. Mae-ling Lokko and Selassie Atadika, Elemental Table, Z33, ph. © Selma Gurbuz In mostra emergeva anche una consapevolezza che va al di là degli aspetti tecnici o architettonici del tuo lavoro. La mostra mi ha dato il tempo di riesaminare tutto il lavoro che ho fatto: i testi, anche quelli non pubblicati, e i risvolti apparentemente laterali dei progetti. Abbiamo evidenziato le conseguenze politiche, economiche e sociali di alcuni processi materiali. Quando si lavora in un ambito così tecnico è difficile raccontare i retroscena di quello che si fa, ma abbiamo cercato di creare una narrativa che unisse la storia del colonialismo in Africa alle biotecnologie emergenti. Questo approccio nasce forse perché provengo dal Sud Globale, dove il retroterra sociale, culturale ed economico è un vincolo fondamentale in molti progetti, ma allo stesso tempo è una sfida. Chi lavora con i rifiuti agricoli o di plastica qui in Africa è un outsider, rispetto a un’economia materiale radicata, che è ancora di stampo coloniale. Anche per questo diventa fondamentale per ogni progetto stabilire un framework e collaborazioni solide, affidabili e durature. Mae-ling Lokko and Nana Afua Pierre Haynes, Generative Grounds, Z33, ph. © Selma Gurbuz Questo approccio è particolarmente evidente nell’installazione Threshold of Return, il lavoro con cui iniziava il percorso espositivo a Z33. Ce ne parli? Questo è il mio primo progetto riguardante i biomateriali e utilizza gli scarti della pasta di cocco, creando un collegamento tra architettura e la secolare economia coloniale in Ghana: l’esportazione di merci a basso costo fuori dal continente, che comporta l’impossibilità di creare e distribuire valore nel paese. Il problema dei rifiuti in larga scala è stato il tema da cui è partito lo sviluppo del prodotto e ridare valore ai rifiuti – in questo caso i gusci – significa anche restituirne alle persone che lavorano in questo settore, e alla terra. A Z33 gli scarti sono mostrati sia trasformati in pannelli isolanti, sia disgregati nel terreno. I gusci di cocco possono infatti essere utilizzati nelle coltivazioni idroponiche in sostituzione dei suoli che sono stati impoveriti. L’installazione fa anche riferimento alla storia agricola e coloniale del paese. Le “porte di non ritorno”, sulla costa ghanese, erano dei luoghi da cui passavano gli schiavi prima di essere imbarcati per gli Stati Uniti. Con questa installazione provo a sviluppare il concetto di “ritorno” nei suoi aspetti tecnici, culturali e storici. Ci parli di come continuava il percorso espositivo? Ho realizzato due installazioni in micelio, che è la parte vegetativa del fungo e agisce come una sofisticata colla naturale, trasportando, scomponendo e alimentando diverse parti dell’ecosistema. Il micelio rappresenta al meglio il mio concetto di ritorno. Nei materiali che coltivo, parti di rifiuti agricoli o alimentari vengono dati in pasto ai miceli. Questi li usano come cibo, consumando cellulosa, acqua e altri nutrienti nella miscela del substrato che permette loro di diventare un materiale di tipo isolante. Le due installazioni rappresentano due spazi di estrazione: la foresta, soggetta alla violenza antropica, e un tunnel minerario. Il percorso espositivo finisce con il cibo e un’installazione sviluppata insieme allo chef Selassie Atadika, con cui ho collaborando ad Accra, in occasione della mia prima residenza con l’artista El Anatsui. Il tavolo è un omaggio ai vassoi usati dalle donne ghanesi per portare le merci dalle fattorie alle città. Sono fatti di un legno molto economico chiamato wawa e per i ghanesi sono oggetti dal basso valore estetico, che non vengono mai mostrati o usati a tavola. L’installazione è composta da piani di tre diverse dimensioni che possono essere utilizzati per mangiare, condividere dei pasti o passare degli ingredienti, evidenziando gli aspetti comunitari del mangiare. Il progetto si concluderà con delle cene per dodici persone, in cui inviteremo i diversi attori della catena di valore del cibo: agricoltori, distributori e consumatori. Mostra Grounds for Return Grounds of Return, Z33, ph. © Selma Gurbuz Healing Meadow, Z33, ph. © Selma Gurbuz Grounds of Return, Z33, ph. © Selma Gurbuz Healing Meadow, Z33, ph. © Selma Gurbuz Mae-ling Lokko and Selassie Atadika, Elemental Table, Z33, ph. © Selma Gurbuz Healing Meadow, Z33, ph. © Selma Gurbuz 30 gennaio 2022 Share