Il nuovo ufficio? Un ecosistema di spazi
Il termine ufficio è obsoleto. Parola di Kay Sargent dello studio HOK. Dobbiamo ripensare a spazi più agili, fluidi, attraenti. Che diano possibilità di scelta e siano al servizio della resilienza delle persone e del business.
A cosa serve l’ufficio, come sarà in futuro e come cambierà il modo di lavorare domani? Queste le domande che, due anni fa, gli addetti ai lavori si ponevano solo marginalmente, ma che, oggi, sono tra i trend topic più dibattuti da organi di informazione, amministratori delegati e società che si occupano di ambienti di lavoro, del loro design e del loro arredo. Sì, perché, se da un lato, negli ultimi sessant’anni, abbiamo assistito a lente e silenziose rivoluzioni che hanno portato, per lo più, a un miglioramento nella produzione industriale, e, dall’altro, abbiamo visto come la tecnologia abbia trasformato la routine e le pratiche dei lavoratori, l’ufficio, di per sé, di progressi ne ha fatti pochi. Tralasciando, infatti, l’introduzione di open space, servizi di vario genere e arredi più ergonomici, un ripensamento sulla raison d'être di questo spazio non era ancora avvenuto. Ci è voluto un evento puntuale e dirompente come la pandemia per metterlo in discussione e per darci l’opportunità di ripensarlo, riflettendo sulla sua identità e sui motivi stessi della sua esistenza.
In prima linea in questo dibattito, lo studio HOK: Kay Sargent, co-direttore della practice WorkPlace e membro del CDA, ci ha spiegato perché il concetto di “ritorno in ufficio” sia errato, di come sia necessario andare oltre la semplicistica nozione di “ufficio singolo” per re-inventare “un ecosistema di spazi” che risponda davvero a nuove esigenze e aspettative, sia maggiormente adattabile, flessibile e sostenibile, favorendo resilienza e benessere.
Ci troviamo in una condizione davvero particolare, in cui non si tratta solo di “riconsiderare” il luogo in cui si lavora ma il lavoro tout court e con esso la forza lavoro. Oggi, non conta necessariamente dove si vive: le imprese possono avvalersi di dipendenti che non abitano proprio accanto all’ufficio. Molti lavoratori sono stati trasferiti o ricollocati e questo ha fatto sì che molte persone che prima non erano in grado lavorare, ora possono farlo, magari da casa. Quando, dunque, si parla workplace, riteniamo che questo nuovo scenario ibrido possa generare un ecosistema che comprenderà lavorare da casa, in un hub – non si parlerà più di ‘ufficio’ – o in quello spazio che, a metà strada fra i due, potrebbe essere un luogo di coworking, come ad esempio la caffetteria di quartiere. Perché ci saranno giorni in cui non potremo lavorare a casa nostra, oppure avremo bisogno di una connessione internet migliore, o magari avremo voglia di uscire ma senza chiuderci in ufficio. Ci troviamo di fronte, quindi, a un ecosistema emergente di luoghi in cui sarà possibile svolgere il nostro lavoro ugualmente senza difficoltà.
Assolutamente sì! Noi parliamo di casa/hub/ufficio diffuso. Quest’ultimo è un luogo più informale e più legato al territorio, dove si va per avere più interazioni o una migliore sistemazione ergonomica, una connessione internet più adeguata o per stare insieme ai colleghi. Potrebbe essere uno spazio di coworking, una sede di proprietà dell’azienda, una caffetteria – per me, per esempio, è l’aeroporto. Quello che conta davvero è che ognuno di questi luoghi sia progettato per finalità ben precise. Pensiamo, invece, che i nuovi hub possano diventare una versione di alto livello di quello che avrebbero potuto essere anche oggi gli uffici, così che sappiano veramente richiamare e attirare talenti. Le aziende che lavorano in remoto già da una ventina d’anni sanno che se la sede principale o l’hub non riescono a ricreare uno spazio interessante in cui stare, offrire comfort vari o la miglior tecnologia o validi servizi, allora i professionisti non ci andranno. Dobbiamo, quindi, ripensare a come progettare tali spazi affinché offrano la possibilità di fare esperienze entusiasmanti che ci facciano venir voglia di stare lì, senza però doverci andare tutti i giorni.
Credo fermamente che il modo in cui progettiamo lo spazio abbia un impatto sugli individui, sia esso positivo o negativo. Il modo in cui progettiamo uno spazio può far sentire le persone connesse, può servire a sostenerle nel modo in cui lavorano, può soddisfare i loro bisogni funzionali e aiutarli a creare un senso di appartenenza. Purtroppo, oggi, si vedono molte aziende affiggere cartelli e nuovi protocolli o avvisi, mettere ‘X’ di divieto sulle sedute, oltre a cordoni e altra segnaletica: tutte queste cose comunicano solo ‘pericolo’ e ci mettono molto a disagio. Riteniamo che ci sia un onere in più per i designer, ossia quello di creare spazi che siano intuitivi. Dobbiamo progettarli in modo intelligente e porre attenzione a come li progettiamo, perché le persone devono sentirsi a proprio agio in questi ambienti, in modo che non rappresentino città fantasma, ma nemmeno luoghi angusti e densamente popolati.
Devo dire che non abbiamo fatto abbastanza per integrare la tecnologia nei luoghi di lavoro. Considera, per esempio, l’automobile: puoi accenderla e riscaldarla anche se sei in cucina e quando le arrivi accanto, lei sa chi sei grazie alla chiave che hai in tasca e, quindi, si apre; tutto è configurato in base alle tue preferenze, il telefono si sincronizza con il cruscotto e lì trovi le informazioni che ti servono. Invece, nei nostri uffici, ci infiliamo ancora sotto le scrivanie per cercare una presa elettrica. Abbiamo fatto un pessimo lavoro. Gli aeroporti sono molto più attrezzati dei luoghi di lavoro. Oggi abbiamo davvero l’occasione di far leva sulla tecnologia per creare una migliore esperienza di lavoro grazie a dispositivi che iniziano a venire incontro agli utenti. Per esempio, prima di arrivare in ufficio, posso rispondere alle domande della security e non rimanere in coda alla reception, perché la mia identità è confermata dal riconoscimento facciale. Posso prenotare un posto, sapere chi arriva e dove si siede, preordinare il pranzo che mi può esser recapitato facilmente, o consegnato da un robot. Posso scoprire dove fa più caldo o è più fresco, dove è rumoroso o silenzioso, e trovare quindi lo spazio adatto a me; posso quindi raggiungere la scrivania che, grazie al dispositivo elettronico che ho in tasca, si regola in base alla mia altezza e posso trovare tutto configurato secondo le mie preferenze, le mie informazioni già caricate sul monitor, le mie chiamate telefoniche trasferite lì. Tutto si adatta alle mie esigenze.
Per due motivi. Non tutti hanno un’auto sofisticata, puoi scegliere di comprarne una economica o una che costa molto, mentre per il nostro posto di lavoro non abbiamo scelta, e se si deve assegnare una scrivania a tutti, allora tutte le scrivanie devono essere uguali e normalmente si scelgono le versioni economiche piuttosto che quelle intuitive. Dal momento che abbiamo sempre dovuto lavorare in ufficio, questo non doveva essere per forza un ambiente piacevole. Oggi, al contrario, se non tutti devono venire ogni giorno in ufficio, non sono necessarie tutte queste scrivanie. Se ho meno scrivanie, posso averne di migliori. Se ciò che si offre nel luogo di lavoro non è migliore di quello che offre la propria casa, allora a che serve andare in ufficio? Dobbiamo creare degli ambienti irresistibili, che offrano qualcosa di meglio.
Entrambe le cose. L’edificio più sostenibile è quello che potrebbe già esistere: il riuso adattivo è fondamentale. Non possiamo semplicemente liberarci del vecchio e sostituirlio con nuove costruzioni. Non è certo la cosa più corretta dal punto di vista della sostenibilità. Progetteremo nuovi edifici ogni volta che ce ne sarà bisogno: saranno più intelligenti e sostenibili possibile e risponderanno alle nuove esigenze di benessere delle persone. Ma dobbiamo essere in grado di riadattare le infrastrutture esistenti e rivedere la destinazione d’uso di edifici già costruiti. Attualmente, per esempio, spazi dedicati commercio al dettaglio vengono sempre più destinati ad altri usi. Gli uffici possono essere trasferiti in altri luoghi. Se servissero più edifici residenziali, come adattare ciò che era in origine progettato per un uso commerciale a fini residenziali e/o viceversa? Non è facile. Pertanto dobbiamo creare edifici che siano più ibridi e flessibili possibile perché si possano trasformare a seconda delle necessità.