Storie Il super potere dei loghi Testo di Valia Barriello Aggiungi ai preferiti Royal Cypher of King Charles III Dai monogrammi reali ai pittogrammi delle aziende di design, come cambiano e si evolvono i marchi nel corso degli anni L’ideazione di un logo richiede sempre la massima sensibilità perché, come ricorda Mario Piazza, il marchio è “la particella più piccola ma la più potente dispensatrice di personalità”. I progetti di immagine coordinata infatti racchiudono in pochi semplici tratti grafici o tipografici l’identità del soggetto e dell’epoca a cui esso appartiene. Ma alla velocità con cui cambiano mode, stili e i nostri stessi device, i loghi soffrono il passare del tempo. Pochi sono i loghi “immortali” passati alla storia della grafica, molti sono quelli che hanno bisogno di essere ridisegnati. La loro caducità, è il caso di dire, non è legata solo al tempo ma anche alle successioni. Ne è un esempio il “logo” della Monarchia Reale Britannica che, dopo la recente scomparsa della Regina Elisabetta II, è stato riprogettato per il Re Carlo III. Lo storico monogramma della Regina, diffuso ormai in tutto il Regno Unito, è costituito dall’iniziale di Elisabetta, dalla successione II e dalla R, che indica Regina in latino. Il cifrario è sormontato dalla corona di Sant’Edoardo, realizzata per il Re Carlo II nel 17° secolo. La grande differenza con il nuovo monogramma di Re Carlo III, disegnato dal College of Arms, oltre all’intreccio delle lettere C ed R, stratagemma grafico un po’ obsoleto, ed il numero III racchiuso all’interno della R (Rex), è la scelta della rappresentazione della corona Tudor. Gli esperti leggono in questa predilezione un omaggio al nonno Re Giorgio VI il cui monogramma aveva la stessa corona. Altra grande novità è la doppia versione del monogramma con la corona scozzese, approvata da Lord Lyon King of Arms. Royal Cypher of Queen Elizabeth II Royal Cypher of King Charles III Royal Cypher of King Charles III (Scotland) Se i loghi istituzionali hanno dei diktat ferrei da seguire, è nei logotipi di design che ritroviamo la maggiore libertà di sperimentazione grafica. Osservando i marchi delle aziende di design e i loro cambiamenti notiamo come essi vadano di pari passo con la storia della grafica e rispecchino l’epoca aziendale. Partiamo da Knoll, azienda statunitense iconica. Il suo primo logo risale al 1947 e porta la firma di Herbert Matter, che curò l’immagine coordinata aziendale dal ‘46 al ‘66. Il logotipo era formato da una font serif allungata da cui venne estrapolata la lettera K, inserita in un cerchio, per necessità di sintesi tipografiche. Nel 1967 l’incarico passò a Massimo e Lella Vignelli che, in un primo momento, mantennero il marchio della K cerchiata affiancato al testo “Knoll International” in Helvetica, per poi via via eliminarlo a inizio anni ‘70. In occasione della retrospettiva di Knoll nel 1972 al Louvre, il logo sans serif di Vignelli in Helvetica divenne l’immagine ufficiale dell’azienda. Lo certifica il fatto che, ad oggi, il logotipo è rimasto invariato, grazie anche all’utilizzo di una font senza tempo. Knoll logo, design Massimo and Lella Vignelli, 1967, ph. courtesy Arflex, azienda storica italiana nata nel 1950 grazie a tre tecnici ex-Pirelli che sperimentarono la gommapiuma per gli arredi, ha una storia grafica che ha visto la successione di diversi loghi. Il primo, disegnato da Albe Steiner nel 1956, nonostante l’originalità della sua font puntinata, si rivela inefficace e viene cambiato più volte nel corso degli anni. La riprova che i loghi successivi non fossero migliori del precedente si ha dal fatto che si trovano poche tracce e informazioni sia sul loro aspetto che sugli autori. Arflex dovrà aspettare il 1965 per arrivare al suo logo attuale ma ne sarà valsa la pena perché a firmarlo sarà il celebre Bob Noorda, a cui dobbiamo la maggior parte dei marchi ancora attuali. Una font sans serif in rosso semplice e tutt’ora attuale. Arflex logo, design Albe Steiner, 1956, ph. courtesy Il recente (2021) restyling del logo di Acerbis, azienda italiana con 150 anni di storia, mostra come un logotipo contemporaneo possa essere la naturale evoluzione del passato. Studio Temp, che ha curato il progetto, è partito dallo studio degli archivi per studiare i cambiamenti del logo nel corso degli anni; il ritrovamento di un vecchio monogramma “ab” è stato il punto di partenza per la progettazione. La ricostruzione di questo pittogramma è partita dalla font ABC Maxi, di Studio Dinamo Typefaces, che è l’evoluzione di uno storico carattere tipografico optofonetico realizzato da Max Bill negli anni ‘70. Nella lettera A, del carattere ABC Maxi, Studio Temp ha rivisto il monogramma originale rivisitato e ha deciso di utilizzarlo come pittogramma di Acerbis affiancato al nome per esteso aziendale o singolarmente. Acerbis logo, design Studio Temp, 2021, ph. courtesy Optophonetic font, design Max Bill, ph. courtesy ABC Maxi font, design Studio Dinamo, ph. courtesy Un esempio illustre di rebranding è quello dell’ex marchio metalmobil, diventato nel 2019 Et al. L’obiettivo aziendale era potersi riposizionare e affermarsi nella disciplina del design cercando “una propria originalità progettuale". Leonardo Sonnoli e Irene Bacchi (Studio Sonnoli) hanno disegnato un nuovo logo che parte dal vecchio nome metalmobil ed individua e isola all’interno della parola le sillabe “et al” che significano e altri (in latino et alii). In questa scelta, apparentemente semplice, è racchiusa l'intuizione grafica e la nuova attribuzione di significato. È proprio su questi “altri” che l’azienda fonda i suoi nuovi valori: la coautorialità e l’arricchimento dato dalla collaborazione e condivisione di saperi diversi. Il rebranding di Et al. non è sfuggito alla giuria internazionale del XXVII Premio Compasso d’Oro ADI che ha conferito la Menzione d'Onore all’azienda.