Manifestazioni India Mahdavi Testo di Porzia Bergamasco Aggiungi ai preferiti India Mahdavi Cosmopolita per vocazione, visionaria eclettica, con un senso del colore pop ma raffinato, per la designer francese la narrazione è la regina di ogni progetto Da Teheran, dove è nata, a Parigi, dove risiede, la vita di India Mahdavi è un lungo viaggio ricco di esperienze, incontri e luoghi. Un approccio alla vita che ha reso il suo stile cosmopolita, poliglotto e trasversale. E, soprattutto, coloratissimo. Oggetti, tessili, mobili, interior vibrano di passione ed energia senza nessuna preclusione all’uso di materiali più diversi e finiture raffinatissime. Un mondo racchiuso nei cataloghi di tante aziende, ma in particolar modo nel suo Petits Objets di Rue Las Cases a Parigi che cura e alimenta di creatività dal 2012. Ora, a coronamento di vent’anni di carriera, è in uscita la sua prima monografia. Lei è fra i migliori designer di interni contemporanei. Ciò significa che sta plasmando il nostro ambiente quotidiano e il nostro immaginario collettivo. Qual è il riferimento estetico più forte del nostro presente? Grazie ai social media, le immagini sono più forti che mai. Ho sempre creato spazi fotogenici a causa dei miei riferimenti cinematografici e ho addestrato il mio occhio a lavorare come una macchina fotografica. Detto questo, un'immagine perfetta non è sufficiente per creare uno spazio vitale. Non c'è niente che possa sostituire la vita stessa. I suoi progetti di interior sembrano set di un film in cui ogni oggetto, colore e trama contribuisce a creare un'emozione, un'emozione cinematografica. Le corrisponde questa relazione fra design/architettura e cinema? Ho sempre considerato la mia professione come multidisciplinare: architettura, interior design, design di mobili e prodotti, cinema, arti decorative, grafica e cultura pop – adatto il mezzo di cui ho bisogno per esprimermi. Da adolescente, il mio sogno era diventare regista – e ricordo che da studentessa ho trascorso un anno andando al cinema tre volte al giorno. Ora sono ancora ispirata dalla fantasia di essere una regista. Quando inizio un nuovo progetto, la narrazione viene prima. C'è la sceneggiatura e poi il set. A Parigi, ho appena aperto un nuovo spazio, che è una project room. Uno spazio multidisciplinare che raccoglie diversi ambiti e talenti... È come il mio set cinematografico dove posso mettere in scena le mie idee e le mie visioni. È una mise en scène personale... Cos'è la bellezza secondo lei? E che aspetto ha un bell'oggetto? La bellezza sta nella verità. La bellezza nel design ha riguardato la relazione tra forma e funzione. Ma oggi non basta. Materialità, sostenibilità, impronta ecologica, riciclo... dobbiamo pensare a 360° quando progettiamo un prodotto, dalla sua genesi al dopo fine vita. Una forma di bellezza sincera. La vera bellezza è la grazia: grazia e poesia. E per me la poesia può essere trovata quando la forza della mano incontra l'immaginario. Come diceva Aristotele: "La mano è lo strumento degli strumenti". Ecco perché cerco sempre di onorare la raffinata maestria nel mio lavoro. È molto famosa e apprezzata per l’uso dei colori come parte vitale dell'espressione degli oggetti e dell'ambiente. Nel suo processo di progettazione cosa viene prima: il colore o la forma / atmosfera? Non ci sono regole. Ad esempio, per Sketch a Londra (ristorante a Myfair, ndr) il rosa è venuto prima. Ho disegnato lo spazio attorno al colore. Ma in generale, alcuni luoghi richiedono un determinato colore. E non puoi mettere qualsiasi colore ovunque. Sono sempre alla ricerca di "la couleur juste": il dialogo perfetto tra un colore e uno spazio. Ancora una volta, la bellezza sta nella verità, deve essere un dialogo autentico. Curve e materiali sontuosi trasmettono un certo piacere sensuale e tattile, una sorta di esperienza corporea estetica e un'espressione di gioia. Alla gente piacciono i suoi oggetti, i suoi interni e le sue collezioni di tessuti e mobili. Perché secondo lei? Forse raccontano qualcosa sui bisogni più intimi della nostra vita contemporanea? Negli ultimi mesi la vita è diventata faticosa. La pandemia ci ha obbligati a rimanere in casa e a riconsiderare come viviamo la casa. Istintivamente progetto spazi che parlano a tutti i sensi e utilizzo una forma di sinestesia specifica per gli spazi. In altre parole, associo naturalmente un colore o una trama a uno spazio: non si tratta solo di un comfort fisico, ma anche di trasmettere un'esperienza visiva ed emotiva. Cosa non passa mai di moda? L'aspetto duraturo è un elemento del suo approccio al design? Il mio alfabeto di forme ha origine da un paesaggio familiare. Quelle forme appartengono alla nostra vita quotidiana, ai nostri ricordi comuni, alla nostra infanzia. Ad esempio, la mia poltrona “Charlotte” non è solo un oggetto. È il profumo delizioso e nostalgico del piacere dell'infanzia. La maggior parte della sua produzione di design (per il suo marchio e per i marchi dei clienti) è fatta a mano o personalizzata. Negli ultimi anni il processo artigianale è divenuto un valore degli oggetti. Cosa ne pensa? Per 20 anni ho lavorato principalmente con artigiani francesi. La Francia non è un paese rinomato per la sua industria in questo campo allo stesso modo dell'Italia. Tuttavia, ha una ricca tradizione di arti decorative e artigianato. Recentemente ho lavorato con la manifattura de Cogolin, un'azienda di tappeti con sede nel sud della Francia che perpetua un savoir-faire unico e ho lanciato un'edizione limitata del mio sgabello Bishop con la manifattura Émaux de Longwy. Longwy è nota per la sua precisa tecnica di smalto cloisonné, prodotta dal 1798. Cerco di stabilire un dialogo autentico tra questo specifico know-how e me stessa. Ha un atteggiamento nomade e, in effetti, viaggia molto per lavoro. C'è una relazione tra il suo progetto di interior design e i luoghi che visita? Certamente, la posizione è il punto di partenza. Definisce la singolarità di ogni spazio. Forma la sua identità. Non concepirò gli stessi interni a Londra, Miami o in Messico. Esplorare e immergermi in culture diverse mi impedisce di diventare ridondante, arricchisce il mio vocabolario e mi permette di sorprendermi con un'estetica sconosciuta. È una pagina bianca. Cosa le piace di più del suo lavoro? La diversità dei progetti dagli spazi pubblici a quelli privati. La diversità di scala, da un anello a un edificio. La diversità dei miei clienti, dai marchi di lusso ai marchi che si rivolgono a un pubblico più ampio. Anche l'aspetto sociale del mio lavoro è molto importante, incontrare persone e lavorare in team. In due parole: flessibilità e comunione. Abbiamo letto che le piacerebbe fare più progetti con budget ridotti. Perché? Userebbe un approccio diverso? Penso che abbiate frainteso il mio punto di vista. Non si tratta di budget. Mi piace fare un bel lusso accessibile. Perché i progetti economici di design dovrebbero essere brutti? La bellezza dovrebbe essere democratica. La prima monografia attesa da tempo sul suo lavoro sarà presto pubblicata da Chronicle Chroma. Può anticiparci qualcosa? Con l'aiuto di Beda Achermann e del suo studio, ci siamo immersi nel mio mondo e nel mio processo lavorativo. La monografia rifletterà ciò che accade dietro le quinte. Rivela la realizzazione di tutti i mondi che ho progettato per più di vent'anni India's Project Room, il terzo spazio di India Mahdavi aperto nel 2020, “Project room #1”, rue de Bellechasse 29, Parigi © Simone Bossi India Mahdavi / David Shrigley (illustratore), The Gallery at Sketch, ristorante di Mourad Mazouz, Londra 2014 - Photo Ed Reeve Chez Nina, allestimento e arredi per il club privato, Galleria Nilufar, Milano Design Week 2018 ©Mattia Iotti Piatto Bicéphale “Primadonna” realizzato con Manufacture des Emaux de Longwy Sgabello Bishop “Apple Blossom”, Manufacture des Emaux de Longwy “Jardin intérieur”, collezione di tappeti, Manufacture de Cogolin - Photo Francis Amiand “Abbasi in the sky” per De Gournay, nel loro showroom / appartamento, Parigi © Rebecca Reid 16 febbraio 2021 Share