Storie Interior Voyages: attraverso la lente di Matthieu Salvaing Testo di Elisa Mencarelli Aggiungi ai preferiti Oscar Niemeyer realizza nel 1953 Casa das Canoas: un vero capolavoro, un dialogo aperto tra l’architettura fluida e la natura circostante Il celebre fotografo parla della sua ultima pubblicazione. Alla scoperta delle case che hanno segnato la storia del progetto, da Gio Ponti a Oscar Niemeyer. Un viaggio che cattura l’anima dei luoghi. “Ho passato la maggior parte della mia vita viaggiando. Già da molto giovane mi sono avvicinato al mondo della fotografia che mi ha portato a visitare architetture ed edifici iconici. Poi sono tornato a casa, a Parigi, e ho iniziato a scattare interni. In quel preciso istante mi sono chiesto ‘perché?’. Perché questo stile? Perché questo colore, questo arredo, questa forma particolare della casa? Qual è il rapporto tra le cose e le persone?”. Con queste parole il fotografo Matthieu Salvaing inizia il racconto di quello che si delinea come un diario, in cui i dettagli, i colori, i decori e gli oggetti che danno vita agli interni, parlano la lingua di chi li abita. “Ecco, Interior Voyages risponde a queste domande. Non è un libro sulle case ma sulle identità”. Una delle opere più importanti di Gio Ponti, Villa Planchart a Caracas, realizzata su commissione dei coniugi Anala e Armando Planchart. La carriera di Salvaing inizia a soli 16 anni quando realizza il suo primo reportage fotografico in Andalusia. Subito dopo arriva la collaborazione che segnerà indelebile la sua vita e la sua carriera, quella con l’architetto Oscar Niemeyer. Un mentore che trasmetterà al giovane fotografo la passione per l’architettura, al quale Salvaing, tra i ringraziamenti del libro, riserva una dedica speciale: “He still shines like a beacon, always showing me the path” (Brilla ancora come un faro, mostrandomi sempre la via). “Grazie a Oscar Niemeyer ho imparato come ogni dettaglio racconti una storia, è fondamentale saper cogliere gli aspetti che per molti risultano invisibili. Un esempio è Luis Barragán. Oggi è considerato uno dei massimi architetti, ma è rimasto per molto tempo incompreso. Perché per poter capire la sua genialità devi studiare la luce, i colori, perfino l’altezza dei muri non è casuale. Tutto ruota intorno alla sua fede religiosa, all’energia spirituale. Per questo alla base del mio lavoro c’è il rapporto con gli architetti”. L’Hôtel Ivoire, inaugurato nel 1963 e costruito dall’architetto Moshe Mayer per volere del primo presidente della Costa d’Avorio, simbolo della rinascita del paese. Come uno scienziato, Salvaing è interessato all’antropologia. Pochi scatti pongono l’attenzione sugli elementi focali che caratterizzano non solo un ambiente, ma un luogo, una cultura, catturando l’essenza delle persone che si celano dietro gli oggetti inanimati. “Il mio è un lavoro di investigazione – continua Salvaing – prima dell'interno c'è l’individuo. Uno degli aspetti più complicati del mio lavoro è proprio questo, riuscire a entrare in sintonia con i proprietari. Capita spesso di incontrare clienti poco aperti, con i quali è difficile dialogare, è una vera sfida. Però nel momento in cui riesci a comprendere il personaggio capisci tutto della sua abitazione. Tutto questo è racchiuso nella prima casa del libro, per me quella più affascinante: lo chalet di Balthus. Racchiudere tutto il Giappone in uno chalet svizzero, tra dipinti, biglietti, e pareti che profumano di legno. Poi incontri la figlia di Balthus, così elegante che sembra di essere in un film, in cui tutto è studiato nei minimi dettagli. In questo senso mi sento molto legato al cinema. Ogni volta che scatti ti ritrovi in un set diverso, catapultato in un altro mondo. Come quando ho scattato il set di In the mood for love. Lavorare a Hong Kong è stata un’esperienza folle. Mi sentivo esattamente come in Lost in Translation. Quella del regista Wong Kar-Wai è una location super segreta, infatti ho dovuto lavorare di notte. Non appena finito di fotografare, hanno smantellato tutto, come se non fosse mai successo, quell’interno non esisteva più! Non ci potevo credere!” Costruito nel 1750 per Jean-David Henchoz, il Grand Chalet in Svizzera fu acquistato dal pittore Balthus nel 1977. Lontano dalle mode contemporanee, da chi si fa portatore di un’estetica universale, Matthieu Salvaing mette in primo piano le differenze, scegliendo di mostrarci interni che parlano lingue diverse, affiancando alla casa-scultura dell’artista Carlos Páez Vilaró la tenuta di epoca vittoriana appartenuta ai reali scozzesi e, poi ancora, il Palácio Quitandinha, tutto Barocco e Art Déco, fino all’oasi tropicale di Frank Sinatra e Mia Farrow. Un libro che scorre volutamente inaspettato, che stupisce e meraviglia. “Siamo nell’era della globalizzazione, che ha i suoi pro e i suoi contro. E tra gli aspetti negativi c’è di sicuro quello dell’omogeneizzazione. Spesso, quando viaggio, capita di ritrovarmi in luoghi non-luoghi, che non parlano nessuna lingua, potrei essere ovunque, da New York al Giappone. Con questo progetto volevo ritrovare l'essenza delle diverse culture, le abitudini, gli usi, i tratti caratteristici che rendono unici. Per me è fondamentale scoprire un luogo nelle sue tradizioni e nel suo passato, mi rendo conto che questo è un modo di pensare in contrasto con i tempi moderni”. Ed è grazie a queste sfumature che Salvaing si pone un passo più là rispetto a quei fotografi fedeli alla tecnica, sempre alla ricerca dello scatto perfetto, traslando la fotografia sul piano delle emozioni, così da far immergere lo spettatore nei suoi ambienti poetici e nostalgici. Percepire il senso di spiritualità di Auroville, respirare il fascino della natura che circonda Casa Pueblo o rivivere l’amore tormentato del capolavoro di Wong Kar-wai. Costruito nel 1944 da Luis Fossai e Alfredo Baeta Neves a pochi chilometri da Rio de Janeiro, Palácio Quitandinha porta la firma dell’iconica designer Dorothy Draper. Interior Voyages non si limita a illustrare, né tanto meno a descrivere; non è un semplice libro sul bello, ma bensì un racconto appassionato, di chi riesce a guardare il mondo ed emozionarsi. Un’esperienza totale che arriva là dove le parole non riescono ad arrivare, come cita la prefazione “If not in words …”. Matthieu Salvaing elogia la memoria, mostrandola anche nella sua fragilità perché fatta di particolari effimeri, spesso trascurati, ma arricchiti dai segni del tempo. Un tessuto, un quadro, un’ombra, una porta. Alla ricerca di ciò che è unico ed eccezionale. “Sono molto fortunato perché faccio davvero ciò che amo. È un privilegio riuscire a vedere queste meraviglie e raccontare queste storie. Un consiglio per le nuove generazioni? Siate coerenti e non perdete la vostra identità, perché è ciò che di più prezioso avete!”