Intervista con Nani Marquina, CEO dell’omonimo brand di tappeti cult
Tessuti a mano utilizzando le fibre più pregiate, i prodotti di Nanimarquina hanno mostrato quanta bellezza e quale livello di qualità si possano ottenere con mezzi artigianali. Un’intervista con l’amministratrice del marchio.
Figlia di un importante designer industriale (Rafael Marquina), Nani ricorda di essere cresciuta in una casa in cui agli oggetti casalinghi di uso quotidiano era tributata particolare attenzione. Può darsi che questo abbia influito sul suo successivo interesse, che dal design di interni la ha portata ad occuparsi della progettazione e produzione di tappeti. Da questo è nata un’azienda notevole che è diventata un marchio cult e per la quale hanno lavorato molti dei migliori designer internazionali. I suoi prodotti, tessuti a mano utilizzando le fibre più pregiate, hanno mostrato quanta bellezza e quale livello di qualità si possano raggiungere con mezzi artigianali.
No, credo avesse torto; voleva proteggermi, perché in quegli anni il design era una sorta di chimera. Io amo le sfide, e il fatto che me lo sconsigliasse forse ha generato in me un interesse ancor maggiore. Allora non capivo la sua preoccupazione, dato che anche lui era proprio un designer (Rafael Marquina è stato un importante designer spagnolo, ndr). Più tardi, con gli anni, ho scoperto le difficoltà che c’erano, ma ormai ero coinvolta, e non mi è mai venuto in mente di uscirne.
Dico sempre che mi sono dedicata ai tappeti per caso, perché negli anni ’80, quando ho cominciato, i tappeti contemporanei per la casa rappresentavano una lacuna. D’altro canto c’erano aziende di design specializzate in tappezzerie, nella produzione di arredi, in illuminazione, ecc. Ma mi resi conto che i tappeti non c’erano. Allo stesso modo, col tempo ho scoperto che per me il pavimento è importante, sicuramente perché è ciò che ci sostiene (a meno che non camminiamo per aria). Mi piace osservare tutte le tipologie di pavimento, è la parte dello spazio che mi interessa di più. Che si tratti del pavimento di un’architettura o del terreno in natura.
Più che trasformarlo, il tappeto ha la capacità di definire lo stile, il carattere o l’atmosfera che desideriamo creare nello spazio. Con il colore, lo stile, le fibre impiegate... i tappeti ci aiutano a formulare il messaggio che vogliamo esprimere. Dopo tutto, sono superfici ampie che influenzano lo spazio.
No, erano fatti a macchina, con pezzi di moquette di alta qualità cuciti sul retro. Per questo erano molto semplici, estremamente grafici, visivamente d’effetto, ma la tecnica condizionava il disegno. Usavo soltanto pochi colori, per renderli più forti. I primi tre tappeti furono Manhattan, una rappresentazione dello skyline di New York, un secondo tappeto chiamato N e un terzo chiamato CENTRO, con delle linee e un quadrato.
Decidemmo di spostare la produzione in India nel 1993. La ragione principale era che la produzione industriale qui in Spagna comportava dei limiti sostanziali in termini di design. Non era una questione di prezzo, piuttosto si trattava del fatto che un designer ha bisogno di poter lavorare senza limitazioni, mentre produrre i tappeti a macchina significava accettare molti limiti alla creatività. Producendo lì, siamo riusciti a offrire un prodotto di qualità migliore, con un contenuto di design più alto e a un prezzo più ragionevole. Possiamo dire che questo abbia salvato l’azienda dalla concorrenza.
Non era mia intenzione, racconto sempre che la prima volta che sono entrata in contatto con l’artigianato è stato in India nel 1993, per caso. Dopo averne scoperto il valore, non sono più riuscita a smettere di difenderlo e di promuoverne le qualità, la bontà, i vantaggi. A quei tempi, la produzione industriale era ancora in auge, e quando parlavo di artigianato e lavoro manuale mi sembrava di essere un’originale.
Sono pochi i designer che prima di cominciare il lavoro hanno un’idea perfettamente chiara di ciò che vogliono; in questo caso, i fratelli Bouroullec avevano chiaramente in mente che volevano coniugare contemporaneo e tradizione. Fu proprio per questa esigenza che cominciammo a lavorare in Pakistan, conoscendo già in precedenza i pregi dei Kilim e le capacità dei tessitori afghani rifugiati. Sono stati in grado di fondere i due valori nel tappeto Losanges: contemporaneità e tradizione.
Credo sia importante poter intuire dal semplice aspetto visivo quale sarà la sensazione che provoca al tatto.
In tutto il percorso di Nanimarquina, i due tappeti di maggior significato sono stati CUADROS (1996), perché comportava il coraggio di mischiare 6 colori riproducendo un pattern a quadrotti di lana, e TRES (2016), dove l’idea era di rappresentare i valori della tessitura e delle tecniche artigianali attraverso un tappeto composto di tre parti diverse.
L’idea è che compreremo da casa, ma al tempo stesso ci saranno store, spazi piccoli dove sarà possibile comunicare al meglio i valori del prodotto e dove si possa vedere la selezione offerta online. Vederli dal vivo sarebbe allora entusiasmante e ci farebbe passare un momento gradevole. Così come succede quando andiamo a vedere una galleria d’arte o un museo. Gli store diventeranno gallerie d’arte, dove il prodotto è esposto molto bene e si vive un’esperienza che aggiunge valore e sensazioni che motivano l’acquisto online.
Quando scegli un tappeto per il tuo spazio, ha già deciso che aspetto questo spazio dovrà avere. Lo spazio parla di te perché lo costruisci secondo la tua sensibilità, il tuo carattere, secondo il tuo modo di esprimerti attraverso i colori, i materiali, la combinazione degli elementi... Colori, texture, materiali dicono molto di noi, hanno con noi un legame stretto, così come lo hanno i tappeti.
La cosa più importante quando si compra un tappeto è che bisogna innamorarsene. Se questo accade, è perché si è creato uno spazio che gli si attaglia. In questa equazione non c’è spazio per l’errore. A volte, cercando la combinazione perfetta finiamo per scegliere il pezzo sbagliato.
Ho la fortuna che mia figlia ha vissuto da vicino l’azienda lavorandoci fin da molto giovane, e da un punto di vista diverso, dato che non ha un profilo creativo. Ha molto carattere e si impegna con molta energia sul fronte della direzione, mentre io ho un profilo più che altro artistico e creativo. In questo senso ci completiamo a vicenda molto bene, e condividiamo i progetti al 100%, contribuendo ciascuna con la sua visione.