Storie “La Scuola Cattolica”, il nuovo film di Stefano Mordini al cinema Testo di Alessandro Ronchi Aggiungi ai preferiti Stefano Mordini adatta il romanzo Premio Strega 2016 di Edoardo Albinati: un racconto di formazione nella Roma degli anni di piombo che si scontra con uno dei casi di cronaca nera più efferati della storia italiana, il massacro del Circeo. Il romanzo di Albinati è un'opera fluviale, proustiana: lungo oltre mille pagine intreccia ricerca storica, memoir, fiction e digressione saggistica. La storia dei militanti neofascisti Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira e dell'allucinante mattanza compiuta in una villa sul Circeo nel settembre 1975 ai danni delle adolescenti Donatella Colasanti e Rosaria Lopez fa detonare l'atmosfera di normale repressione, oppressione e machismo che è l'acqua nella quale gli studenti di un liceo privato elitario del quartiere Trieste vivono come pesci in un acquario. Le vicende del protagonista/autore confinano geograficamente e cronologicamente con quelle che, portando al massacro, dimostrano gli esiti estremi di una educazione cattolica intrisa di classismo e gerarchizzazione in una "Roma bene" che, sotto l'apparenza di rispettabilità, si dimostra molto più feroce e arcaica. Una scena apertamente programmatica, nella trasposizione cinematografica, vede Raffaele Guido (Riccardo Scamarcio) accompagnare il figlio a caccia e insegnargli a uccidere. Una parte significativa delle riflessioni di Albinati è occupata dalla teoria del sadismo, il quale appare una tara ereditaria trasmessa dai padri biologici e dalle istituzioni, un virus che ha come orizzonte biologico unico la replicazione. È proprio l'assenza o la ferocia della parte maschile a far scaturire generazioni perdute e, in certi casi, instillare il seme della violenza che inevitabilmente esploderà contro ciò che è altro, si sfogherà in primo luogo contro le donne. Il massacro del Circeo con le sue torture è, tra le altre cose, caratterizzato dalla intensa volontà di reificazione delle vittime che osserviamo nei soggetti psicopatici. Il film ha ottenuto un anacronistico e ormai rarissimo divieto ai minori di 18 anni. La motivazione non poteva essere nella violenza mostrata, esplicita completamente nella media. I censori, infatti, la giustificano con la scena ideologicamente centrale in cui un professore commenta un dipinto raffigurante la flagellazione di Gesù Cristo mettendo sullo stesso piano morale vittima e carnefici. Lo spunto, estremamente interesse, viene lasciato cadere come molti altri provenienti dal romanzo, allusi e non sviluppati. Il limite principale dell'opera di Mordini è nel non abbandonare la matrice letteraria cercando di tenere in gioco quanti più filoni narrativi e tematici possibile, finendo sconfitto in sede di montaggio e dovendo ricorrere ai più classici "spiegoni" in voice over. In compenso il film si preoccupa di non esplicitare in modo didascalico il colore ideologico dei personaggi ma lascia parlare gli ambienti, le location: l'istituto scolastico è un grande complesso di architettura fascista e allo stesso modo gli interni borghesi dei più agiati tra gli studenti suggeriscono, con il loro horror vacui, il peso dell'ereditarietà. Sarebbe inoltre interessante, anche in senso metafilmico, la scelta registica di lasciare tutti i personaggi principali (giovani) a esordienti confinando lo star system italiano (Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Jasmine Trinca, Fabrizio Gifuni) nei ruoli secondari dei genitori - cattivi maestri. Peccato per gli esiti estremamente altalenanti in fatto di recitazione. In definitiva "La scuola cattolica" si limita all'affresco di un milieu e alla rievocazione storica di un evento di cronaca nera, mostrato in tono medio senza eccessi di splatter né di edulcorazione. Le tematiche sono solo enunciate e traggono forza dalla relazione al dibattito contemporaneo sugli effetti nefasti della combinazione tra valori tradizionali e testosterone. Rimane l'impressione di un film la cui materia avrebbe potuto, in potenza, dare un secondo "Salò o le 120 giornate di Sodoma" dove l'assenza di un Pier Paolo Pasolini non avrebbe potuto essere più evidente. Mancano il coraggio, la profondità, la spericolatezza, la volontà di giungere alle estreme conseguenze sia in termini di immagini che - soprattutto - di indagine filosofica. Ne esce un prodotto medio italiano che non vuole, non può e non deve essere un documentario sulla falsariga cold case ma non ha la capacità di emergere fino alla complessità del film-essay.