Sostenibilità Le alghe salveranno il mondo Testo di Marilena Sobacchi Aggiungi ai preferiti Scarlett Yang, Decomposition of Materiality and Identities Grazie alle alghe, tre giovani designer hanno posto le basi per una produzione e un consumo sostenibile in un settore che genera ogni anno 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 Le alghe salveranno il mondo. O quantomeno ci proveranno le tre giovani designer che le hanno scelte come materiale principale per indumenti che vanno ben oltre l’uso tradizionale e convenzionale. Scarlett Yang (cinese), Charlotte McCurdy (newyorkese) e Roya Aghighi (canadese-iraniana) condividono, infatti, − oltre a fattori puramente casuali quali gender ed età inferiore ai trent’anni − la ferma convinzione che, per rendere il design una forza trainante a supporto di una vera sostenibilità, si debba partire dal nucleo del problema, ossia dall’esplorazione di nuovi materiali e processi che migliorino l’impatto ambientale e sociale che l'industria della moda, ma non solo, ha sull’ambiente. Così, i loro progetti – connubio di bio design, stampa digitale e simulazione generativa 3D – rappresentano la migliore replica all’imperante narrativa del cambiamento climatico quale problema senza soluzione. La tesi di laurea di Scarlett Yang alla Central Saint Martins si intitola Decomposition of Materiality and Identities perché, all’interno della sua collezione, la stilista dà vita a un sistema vivente perfettamente circolare in cui gli indumenti crescono, cambiano forma nel tempo e a seconda delle condizioni ambientali e, infine, si decompongono. Tutto ciò grazie a un tessuto biodegradabile da lei stessa progettato, utilizzando estratti di alghe e proteine dei bozzoli di seta. Questo biomateriale cambia forma e consistenza in risposta a diversi livelli di umidità e temperatura, torcendosi e sgualcendosi man mano che queste condizioni aumentano o irrigidendosi quando diminuiscono, e può decomporsi in acqua entro 24 ore. “Dopo aver studiato moda alla Central Saint Martins, mi sono resa conto di quanto materiale di scarto venga generato nell'ambito dello sviluppo di un progetto tradizionale di fashion design”, ha spiegato. “I miei capi mettono in mostra la bellezza di forme di vita naturali e sfidano i preconcetti del grande pubblico sul ciclo di vita dei materiali”. Yang ha creato questo nuovo materiale in laboratorio utilizzando acqua, colorante, estratto di alghe e sericina. Per realizzare il suo abito ha, poi, sfruttato il design generativo definendone un modello computerizzato 3D e ha realizzato digitalmente uno stampo di fusione grazie alla tecnologia di stampa 3D. La designer ha, quindi, applicato il biomateriale nella sua forma liquida sullo stampo e lo ha lasciato solidificare; ha poi applicato la sericina – che ha proprietà idrofobiche – su quelle parti che voleva si piegassero e si trasformassero in risposta a stimoli ambientali. Il risultato tangibile è un abito straordinario che sembra essere fatto di vetro ma è leggerissimo, fluido e iridescente. Scarlett ha utilizzato la modellazione 3D, l'animazione e il rendering anche per simulare le trasformazioni del materiale e del capo in varie condizioni. “Le potenzialità di questo materiale dipenderanno dalla ricerca e sviluppo che verranno fatti anche in altri ambiti” ha affermato. www.scarletty.com Scarlett Yang Scarlett Yang, progetto: Decomposition of Materiality and Identities Scarlett Yang, progetto: Decomposition of Materiality and Identities Charlotte McCurdy è una designer e ricercatrice interdisciplinare il cui obiettivo è contrastare minacce come il cambiamento climatico con un atteggiamento positivo, propositivo e attraverso la pratica del “buon” design. Professore di disegno industriale presso la Rhode Island School of Design, dove lei stessa ha frequentato il Master in Industrial Design, McCurdy ha un Bachelor of Arts in Global Affairs presso la Yale University ed è tra i protagonisti di One X One, campagna e iniziativa internazionale lanciata da Swarovski con il supporto dell’United Nations Office for Partnerships and Study Hall che si pone come obiettivo quello di avviare al cambiamento il settore della moda attraverso innovazioni sostenibili. Il suo progetto After Ancient Sunlight è un impermeabile resistente all'acqua realizzato con un materiale simile alla plastica ma fatto di alghe che catturano naturalmente la CO2 presente nell’atmosfera. Attualmente, la maggior parte dei materiali plastici sono realizzati con combustibili fossili o depositi di carbonio: McCurdy, invece, ha creato una plastica a base di alghe priva di petrolio che potenzialmente contribuisce a contenere parte del carbonio che sta deteriorando i nostri ambienti. L’uso di un oggetto di tutti i giorni come un impermeabile è un invito al vasto pubblico a confrontarsi con il tema sempre più pressante del cambiamento climatico e, contemporaneamente, presenta una possibile prima soluzione pratica, accessibile e inclusiva. www.charlottemccurdy.com Charlotte McCurdy Charlotte McCurdy, progetto: After Ancient Sunlight Charlotte McCurdy, progetto: After Ancient Sunlight Roya Aghighi è una designer multidisciplinare con due lauree in design industriale presso la Emily Carr University of Art and Design in Canada e l’Iran University of Science and Technology. Attraverso il suo lavoro, Aghighi vuole sottolineare il ruolo critico del design nel guidare e formare i comportamenti umani. Incline a superare il divario e i confini tra le varie discipline accademiche, la designer studia i materiali di oggi e inventa quelli di domani, convinta che si possa dare il via a un “nuovo modo di vivere”. Per questo, collabora con ingegneri, scienziati e biologi dell’University of British Columbia e della Emily Carr University al fine di avviare pratiche di bio-design in Canada. Il suo progetto più recente, Biogarmentry, nasce proprio da questo impegno. Si tratta di abiti realizzati con alghe che trasformano l'anidride carbonica in ossigeno tramite la fotosintesi: il tessuto creato, naturale e biodegradabile al 100%, assomiglia al lino e risulta essere un vero e proprio organismo vivente, realizzato filando un tipo di alga monocellulare insieme a nano polimeri. “Il fatto che il tessuto risulti vivo trasformerà il rapporto che le persone hanno con i propri abiti, favorendo un legame emotivo con essi e convertendo atteggiamenti puramente consumistici in comportamenti più sostenibili” afferma Aghighi. Chi indossa questi bio-indumenti, infatti, se ne deve prendere cura come farebbe con una pianta: i capi si attivano quando esposti alla luce solare e, invece di essere lavati, devono solo essere spruzzarti con acqua una volta alla settimana. “Dal momento che il ciclo di vita del tessuto fotosintetico dipende direttamente da come ce se ne occupa, la cura dei vestiti riacquisterà un ruolo centrale”. Un modo per contrastare consumismo e moda veloce. www.royaaghighi.com Roya Aghighi Roya Aghighi, progetto: Biogarmentry Roya Aghighi, progetto: Biogarmentry Siamo solo all’inizio della guerra contro la plastica usa e getta e il consumo di combustibili fossili non rinnovabili che emettono anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera. Ma una cosa è certa: la sostenibilità del nostro pianeta passa anche attraverso le alghe. Che da fastidiosa presenza sulle spiagge della nostra infanzia si sono trasformate nell’oro verde su cui scommettere per il futuro.