Storie Le donne del Design nel nuovo libro di Jane Hall, Woman Made Testo di Valentina Raggi Aggiungi ai preferiti Polder Sofa by Hella Jongerius for Vitra. Ph. Credits Marc Eggimmann. Image © Vitra L’architetto Turner Prize Jane Hall ci racconta il suo nuovo libro Woman Made. Un excursus planetario nella storia della progettazione al femminile, che nutre gli occhi e apre la mente. Ci sono liaison d’amore e drammi di guerra, progressi tecnologici e vocazioni ambientaliste, racconti di discriminazione e storie di emancipazione. In sintesi, si parla di design. Woman Made: Great Women Designers, il nuovo libro edito da Phaidon, è un excursus immersivo nelle carriere di oltre 200 donne che, in oltre 50 Paesi del mondo, stanno scrivendo, sin dai primi del ‘900, la storia di questo mestiere. Progettano le vite e vivono per progettare. L’autrice è Jane Hall, cofondatrice di Assemble, lo studio d’architettura multidisciplinare londinese premiato con un Turner Prize, e già autrice del volume Breaking Ground: Architecture by Women (Phaidon, 2019), di cui questa nuova pubblicazione è sorta di spin off. Volutamente schematica, la bella grafica è di un’altra donna, Ariane Spanier, la ricerca di Hall mette in ordine alfabetico le designer e sceglie quattro ambiti: oggettistica, arredamento, tessile e illuminazione. Il fascino del libro non sta solo nella minuzia dell’indagine planetaria condotta alla ricerca del Good Design, e nel piacere di osservare l’evoluzione dello scenario domestico, ma, soprattutto, sta nell’avvincente lettura di biografie che, seppur così lontane per epoche, luoghi e stili, si fanno motto corale di woman empowerment. “Le donne furono cancellate dal canone occidentale, quindi questa è una forma di storia di recupero. Quello che volevo fare, e che forse si discosta dai volumi sullo stesso argomento, è lanciare la rete un po' più ampia e includere progettiste di tutto il mondo. Woman Made: Great Women Designer by Jane Hall. Phaidon, 2021 C'è una straordinaria storia transnazionale di donne che studiano all'estero, viaggiano per lavoro e poi tornano a casa o si stabiliscono in un altro Paese. Il design racconta una vicenda culturale che è sempre più globale, quindi è importante andare oltre l’Occidente”, racconta l’autrice. Tanti i temi sottotraccia, tutti fondamentali, che conducono a legare un nome all’altro in associazioni libere. Con rigore, e onore, si parte da Aino Alto, che si laurea nel 1920 alla Helsinky University in un Paese dove le donne sono già parte della macchina produttiva del settore. Scorrendo le pagine si arriva ad Ann Pamintuan, filippina che nel 1999 ha cofondato Movement 8, generando finalmente la nozione di design nella sua patria, in cui fino ad allora si erano prodotti solo pezzi disegnati e destinati all’estero. Ci sono la Wiener Werkstatte e il Bauhaus grazie a cui le donne per la prima volta hanno occasione di mettersi in gioco, ma c’è anche la disgrazia bellica, con vite come quella di Otti Berger, prima a ottenere un diploma in textile design alla Bauhaus, ebrea e vittima di Auschwitz. C’è il seguente boom economico dove gli utensili domestici raggiungono prezzi democratici, poi consacrati dall’avvento delle materie plastiche negli anni ’60. Freda Diamond nel ‘54 viene definita dal magazine Elite la ‘Designer of everybody’ perché praticamente non c’è casa americana che non abbia un suo pezzo. Nata a New York nel 1905 aveva studiato alla Women’s Art School a Cooper Union, altro buon segno dell’importanza dell’accesso alla formazione per l’emancipazione. Oltreoceano c’è la viennese Margarete Schutte-Lithozy che già nel ’26 progetta un best seller, la Frankfurt Kitchen, una cucina divenuta simbolo di emancipazione femminile, e disegnata da una che cucinava ben poco, ma che aveva saputo osservare in maniera scientifica movimenti ed esigenze delle donne, mettendole al centro. Oggi si direbbe, raccogliendo data. On the right Ray Eames, on the left Lounge Chair, co-designed with Charles Eames Si raccontano anche molte donne ‘ombra’, oscurate dalla fama di mariti come Luisa Parisi o di padri come Anna Maria Niemeyer, figlia di Oscar e coautrice di molti suoi progetti. “La questione più grande è di storiografia: quante donne che fanno un lavoro incredibile anche oggi verranno ricordate e scritte rispetto ai loro coetanei maschi? Non è solo un gioco di numeri, si tratta di rendere le donne più visibili. - continua Hall — Oggi le designer sono forse più facilmente in grado di avere una formazione e lavorare senza un partner maschile, ma rimane difficile ottenere commissioni dai più grandi produttori di mobili”. Piace comunque leggere tanti nomi italiani, da Gegia Bronzini e Anna Castelli Ferreri fino a Francesca Lanzavecchia e Maddalena Casadei. “Sono un grande fan di Nanda Vigo e Cini Boeri, entrambe scomparse durante la realizzazione del libro. Non solo sperimentavano coi materiali, ma creavano forme e ambientazioni nuove e piene di umorismo!”, chiosa l’autrice. In ogni pagina c’è traccia di un messaggio chiaro: la potenza femminile dell’inclusività. La capacità di conservare il passato e generare futuro, di accogliere e trasformare. Un’attitudine biologica che rende per le donne il mestiere del design un continuo atto culturale e sociale. Lo dimostrano, oggi, tra le tante, Rand Abdul Jabbar e il suo movimento per le donne designer a Dubai, Kawther Alsaffar che produce con artigiani migranti a Kuwait City, Nikita Bhate che recupera le tradizioni di Pune fino a Marie Burgos che lotta per i diritti dei neri a Parigi. Sembrerebbe un lieto fine. Roly Poly by Faye Togood, 2014. Ph. Credits Angus Mill Titolo: Woman Made: Great Women Designers Autore: Jane Hall Casa Editrice: Ed. Phaidon Anno di pubblicazione: 2021 Pagine: 264