Salone Selection Le Stanze del Vetro Aggiungi ai preferiti Installation view - Photo Enrico Fiorese Una delle mostre più attese a Venezia, racconta lo Studio Glass Americano. Dagli anni '60 a oggi, storia di una reciproca influenza. Diciottesimo appuntamento per il progetto culturale “Le stanze del vetro”, rassegna veneziana dedicata alla valorizzazione delle produzioni e progettazioni vetrarie muranesi e internazionali del Novecento e contemporanee, che ha l’intento di mostrare le innumerevoli potenzialità di questa materia e di riportarla al centro del dibattito della scena artistica mondiale. La mostra intitolata “Venezia e lo Studio Glass Americano” – curata da Tina Oldknow e William Warmus, già curatori di vetro moderno e contemporaneo al The Corning Museum of Glass, uno dei musei del vetro più importanti al mondo – indaga per la prima volta l’influenza che il vetro veneziano, dagli anni Sessanta a oggi, ha avuto su un questo movimento artistico d’oltreoceano. Lo Studio Glass è un movimento nato negli Stati Uniti agli inizi degli anni Sessanta, diffusosi poi immediatamente in Europa, Australia, e successivamente in Asia, caratterizzato dal nuovo ruolo che l’artigiano assume come designer, progettista ed esecutore di oggetti unici, nonché dalla condivisione delle tecniche e delle idee fra artisti, solitamente, invece, tenute nascoste e segrete. In altre parole, il vetro fuso esce dalle fabbriche per entrare nell’atelier degli artisti, come poco prima era successo con la ceramica, rivisitandolo come materiale al servizio dell’arte contemporanea. Uno dei pionieri del movimento fu Harvey Littleton, ceramista all’University of Wisconsin e promotore, insieme a Dominick Labino dei due seminari sul vetro che sancirono la nascita ufficiale dello Studio Glass, organizzati al Museum of Art di Toledo. La città dell’Ohio è legata intrinsecamente all’industria vetraria, al punto da essere nota come Glass City. Qui, nel 1901, il magnate Edward Libbey, proprietario della Libbey Glass Company, fondò il Toledo Museum of Art, una delle più importanti collezioni mondiali di vetri d’arte e fulcro della sperimentazione e dell’innovazione nelle tecniche di soffiatura del vetro. E, proprio in un garage situato all’interno del complesso stesso, nei primi anni ’60 i due artisti Littleton e Labino fondano lo Studio Glass. Installation view - Photo Enrico Fiorese “A noi – dichiarava Littleton – interessava soprattutto esplorare il materiale”. Suo desiderio era quello che si facesse un’ininterrotta sperimentazione estetica con il materiale, autonoma rispetto alla produzione. “Il mistero della lavorazione del vetro si può insegnare agli artisti, così come abbiamo dimostrato per l’arte ceramica”, proclamava. “Littleton sperava – spiega la curatrice Tina Oldknow nel catalogo della mostra – che gli artisti americani sviluppassero il vetro. Un materiale di cui l’industria rivendicava il monopolio, come veicolo per l’arte contemporanea. Gli artisti americani lo hanno accontentato, con l’aiuto dei loro colleghi veneziani, abbracciando le tecniche muranesi di lavorazione del vetro come mezzo per sperimentare, indagare, controllare e comprendere un materiale esigente e spesso enigmatico”. Questa storia inizia negli anni ‘50 quando i primi Americani incominciano a recarsi a Venezia per visitare la Venini, l’unica azienda muranese che invitava regolarmente artisti da altre parti d’Italia e dall’estero. Nel 1963 Littleton riesce a introdurre il primo programma universitario di lavorazione del vetro negli Stati Uniti, alla University of Wisconsin. Dale Chihuly, un suo ex-studente, poi direttore del dipartimento di lavorazione del vetro alla Rhode Island School of Design e affermato artista internazionale, ricorda che Littleton seppe coinvolgere studenti di talento e artisti di passaggio… “ci insegnava a pensare in grande, non in piccolo”. L’anno successivo, nel 1964, il vetro americano viene presentato per la prima volta al pubblico alla Columbia University di New York. Al volgere degli anni ’60, alcuni artisti iniziano a soffiare il vetro in direzioni sperimentali e innovative, anche se la maggior parte di loro non aveva sufficienti conoscenze tecniche. In quegli anni, la soffiatura del vetro si era da tempo industrializzata negli Stati Uniti e molte abilità si erano perdute, cosicché molti artisti dello Studio Glass guardano all’Europa, in particolare a Murano e alla sua tradizione millenaria. Ne segue una vera “relazione amorosa” che porta successivamente, negli anni ’90, alla diffusione in America, e nel mondo, della lavorazione del vetro veneziano. La storia dello Studio Glass americano è una storia particolarmente interessante anche da un punto di vista socio-antropologico. Risponde al quesito di cosa succede quando due culture, per molti versi contrapposte – come quella veneziana e americana – si incontrano e si contaminano reciprocamente. Si tratta di una vera e propria scoperta dell’America, nel duplice significato: l’America scopre Murano e Murano, da parte sua, l’America. Da un lato, Murano produceva prodotti apprezzati per la loro funzione, mentre l’America creava pezzi unici, ricercati esclusivamente per la loro bellezza. Murano nei secoli è diventata un’istituzione consolidata e volutamente chiusa su se stessa e con una dimensione localistica, lo Studio Glass americano, invece, fin dagli esordi, aspira all’istituzionalizzazione, alla ricerca di una identità distinta attraverso una dimensione cosmopolita fatta di sperimentazione e innovazione. Installation view - Photo Enrico Fiorese Come ha fatto, dunque, Murano a entrare in relazione con gli americani? Un ruolo essenziale è quello svolto da Paolo Venini e, successivamente, da suo genero Ludovico Diaz de Santillana. La famiglia Venini, sempre aperta agli altri e al mondo, alla fine delle Seconda Guerra Mondiale invita artisti americani a visitare l’azienda e lavorare per loro, con grande scandalo locale. “Impollinazione e trasformazione”, spiega la curatrice Tina Oldknow, è l’impatto che Venezia ha avuto sullo Studio Glass americano. L’impatto veneziano sul vetro d’arte americano è consistito, in altre parole, nel demistificare il vetro fuso, tradizionalmente un materiale ermetico, la cui produzione era avvolta nel segreto. “Imbrigliare l’indomabilità del vetro”, come ha scritto Nancy Callan, affermata artista del vetro, presente con le sue opere in mostra. Sono 155 i pezzi esposti, che raccontano questa storia di contaminazione e influenze, tra vasi, sculture e installazioni create da 60 artisti, americani e veneziani. Oltre a presentare l’eredità duratura e versatile della produzione di vetro veneziano in America, la mostra analizza come questi artisti – in particolare Lino Tagliapietra e Luca Signoretto – hanno rinnovato la vivacità di un linguaggio storico artigianale sviluppandolo ulteriormente in splendide opere d’arte. Una storia che si riferisce alla lavorazione, ossia al vetro fuso, lavorato direttamente in fornace, soffiato o scolpito a mano. Il fulcro del lavoro in fornace è il vetro fuso in via di raffreddamento, che viene manipolato con tecniche di soffiatura e scultura eseguite dal maestro vetraio e, nella maggior parte dei casi, da un gruppo di assistenti. Tra gli artisti, i pionieri Dale Chihuly e Benjamin Moore che, dopo un soggiorno in laguna, hanno invitato i maestri vetrai nel loro Paese a insegnare. Altri artisti, come Richard Moore, hanno sviluppato usi innovativi per la murrina, la tipica tecnica del mosaico veneziano. Dante Marioni, Nancy Callan e James Mongrain creano, invece, vasi, installazioni e oggetti mentre William Morris e Martin Blank preferiscono dedicarsi alla scultura, al pari di Flora Mace e Joey Kirkpatrick ma in scala esclusivamente monumentale. C’è poi chi, tra le nuove generazioni, usa il vetro come storytelling – Josiah McElheny, Katherine Gray e Norwood Viviano – a dimostrazione di quanto il design del vetro non abbia confini, ma di come si spinga sempre verso nuove soluzioni e visioni. Installation view - Photo Enrico Fiorese La mostra è allestita lungo un percorso di 9 stanze. Si parte dai pionieri americani: sia gli artisti che furono tra i primi ad andare a Venezia negli anni ’50 per lavorare il vetro, sia quelli che, successivamente, hanno fondato il movimento dello Studio Glass, come Marvin Lipofsky, Fritz Dreisbach e i già citati Littleton e Chihuly. Le due stanze successive sono dedicate agli innovatori americani, la prima e seconda generazione, ossia coloro che non solo hanno diffuso le tecniche di soffiatura del vetro, ma che col vetro hanno anche modellato in modo originale le loro visioni poetiche, portando lo Studio Glass ad affermarsi anche attraverso importanti mostre itineranti nei musei come, nel 1979, “New Glass: A Worldwide Survey” al Corning Museum of Glass. In queste stesse sale, sono presentati anche pezzi degli iconici Carlo Scarpa, Napoleone Martinuzzi e Fulvio Bianconi, fonte di ispirazione per molti artisti americani per l’approfondimento estetico e i metodi di lavorazione. La quarta sala è dedicata a Lino Tagliapietra e alla sua cerchia. Questo talentuoso e versatile maestro, nel 1979 e per molti anni successivi, insegna alla celebre Pilchuck Glass School di Seattle, fondata nel 1971 da Dale Chihuly, diventata poi il luogo più attivamente coinvolto nello scambio di conoscenze tra artisti europei e americani. Oltre a opere del Maestro sono esposte anche quelle del suo mentore Archimede Seguso e dei più talentuosi artisti che si sono ispirati alle sue creazioni, come Dante Marioni, Nancy Callan, John Kiley, Kait Rhoads e Stephen Rolfe Powell. Al maestro della scultura del vetro a massello, Pino Signoretto, è dedicata invece la quinta sala: anche lui viene invitato a insegnare alla Pilchuck Glass School, dando inizio a una nuova era della scultura del vetro americana. La stanza successiva introduce al XXI secolo e vede molti dei giovani artisti statunitensi concentrarsi sullo sviluppo concettuale, affrontando temi che vanno dall’osservazione della natura alla narrazione, all’identità e al materiale, oltre al cambiamento climatico e al progresso scientifico. Molti artisti si interrogano, invece, sul perché un vaso debba contenere qualcosa e non, come altre forme scultoree, divenire esso stesso soggetto artistico: da qui, il titolo “Ripensare il vaso” della settima stanza. Il vaso diventa un mezzo per esplorare forme, colori o narrazioni coinvolgenti, oppure metafora del corpo umano attraverso l’introduzione di elementi formali come naso, bocca, spalla e piede. Dopo l’ottava stanza dedicata a proiezioni video, il percorso termina nella maestosa Sala Carnelutti, fulcro della mostra, che accoglie la monumentale installazione Laguna Murano Chandelier di Chihuly, realizzata a Murano nel 1996 con i maestri Tagliapietra e Signoretto, testimonianza tangibile della collaborazione e contaminazione tra artisti americani e veneziani. Esposta per la prima volta fuori dagli Stati Uniti, il lampadario è formato da cinque enormi componenti che incorporano elementi scultorei, un’eco della laguna veneziana. In questa sala sono esposti, inoltre, alcuni progetti architettonici caratterizzati dal valore della luce naturale che il vetro permette di trasmettere: sono firmati da James Carpenter, con cui lo stesso Chihuly ha spesso collaborato nella sua poliedrica attività, comprensiva di installazioni su larga scala, architetture e vetro a uso architettonico. Installation view - Photo Enrico Fiorese Installation view - Photo Enrico Fiorese Installation view - Photo Enrico Fiorese Installation view - Photo Enrico Fiorese Laguna Murano Chandelier, di Dale Chihuly - Photo Enrico Fiorese Installation view - Photo Enrico Fiorese Questa “storia” non è stata una storia di esportazione o emulazione, né di moda o lucro, ma il desiderio ben preciso di comprendere e modellare un materiale difficile come il vetro, ad accesso limitato, in quanto per essere fuso e modellato necessita di una fornace ad alte temperature e tecniche specifiche. Nessun altro materiale ha, inoltre, una tale capacità di modificare il proprio aspetto per colore, consistenza e massa, di trattenere e riflettere la luce, di passare dalla trasparenza alla traslucidità all’opacità, dal liquido al solido. “La straordinaria estetica veneziana – come afferma William Warmus, co-curatore della mostra – non è basata sulla mera raffinatezza tecnica, ed è adattabile ‘alle esigenze e alla pratica contemporanea’ di cui parlava Susan Sontag. Lo dimostrano soprattutto i modi in cui, a partire dagli anni Sessanta, gli artisti americani del vetro hanno combinato la raffinatezza veneziana con l’estetica grezza e anticonvenzionale degli Stati Uniti dell’epoca”. Fondazione Giorgio Cini Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia Fino al 10 gennaio 2021 www.lestanzedelvetro.org - virtual tour www.cini.it