Storie L’illusione della vita perfetta Testo di Porzia Bergamasco Aggiungi ai preferiti Hilda Longinotti of the George Nelson Office, posing on a Marshmallow Sofa, c. 1956. Courtesy of Herman Miller Archives. Un libro indaga cosa c’è dietro la seduzione estetica del Mid-Century Modernism statunitense La tesi è chiara: nella metà del secolo scorso, il design moderno è stato utilizzato negli Stati Uniti come veicolo di (non troppo) celati messaggi politici in una società dominata dalle discriminazioni razziali e sessuali, creando un cortocircuito fra etica ed estetica che ha plasmato i consumatori. L’autrice di Mid-Century Modernism and the American Body. Race, Gender and the Politcs of Power in Design, Kristina Wilson, docente di Storia dell’Arte alla Clark University, ne è convinta. È giunta a questa conclusione sulla scia e nel confronto di precedenti studi e sfogliando in particolare gli annali dell’epoca di «Life» e «Ebony». Entrambe riviste di lifestyle e di grande successo commerciale, a loro volta, simbolo di due mondi contrapposti: la classe media americana, di prevalenza bianca, e i lettori della comunità afroamericana. Girando le pagine dei due magazine, articolo dopo articolo, si è soffermata in particolare sulle pubblicità. Quelle delle aziende che proponevano per la prima volta le linee moderne dei loro mobili e quelle che utilizzavano quei mobili come ambientazione. “Per il pubblico bianco, il design moderno era uno strumento di controllo ed esclusione, un sostegno per mantenere l'esclusività razziale bianca. Per il pubblico nero, era fonte di potere e azione sociale” spiega la professoressa. E passa a esaminare le pose dei protagonisti negli scatti, le relazioni fra arredi e definizione spaziale degli interni, fra case e contesto esterno, fra apparentemente innocenti dichiarazioni promozionali di prodotto e promozione di valori familiari e, appunto, sociali. A vantaggio della sua tesi, le ingenue scenette, disegnate da illustratori in voga, mostrano per esempio l’abbinamento dello stile moderno a un concetto di pulizia per le reclame dedicate ai prodotti di igiene per la casa. E ci ricorda che non a caso quello stile è arrivato fino a noi proprio con l’aggettivazione di “pulito” con le sue geometrie senza fronzoli, oneste nei materiali e nei costi. Pensateci, sembra dirci, additando come tutto è disposto per suggerire il “candore” del mondo bianco, negli esclusivi sobborghi lontani dalle città, che lascia fuori tutto ciò che è estraneo e i neri. Lì dove invece per questi ultimi l’ambientazione più contemporanea – mai legata ai prodotti per la pulizia domestica – si faceva ambasciatrice dell’emulazione di stili di vita per l’emancipazione e per creare la ricercata atmosfera domestica che fosse calda, confortevole ed espressione di sicurezza e fiducia sociale. L’omologazione di un mondo privilegiato, da un lato. La visione del riscatto di una vita dignitosa, dall’altro. Ma non c’è solo una retorica fotografica che mostra lo spazio di queste nuove case, aperto, senza divisioni interne e con l’esterno, promettendo l’idillio di una vita così razionalmente circoscritta. C’è anche di più, in relazione ai set pubblicitari dei nuovi arredi, che strizzano l’occhio all’ambiguità del sex appeal contenuta in una bella silhouette formale: “queste fotografie suggeriscono che nella decade degli Anni 50, le sedie dei designer bianchi mantenevano le donne bianche sia in vista che al loro posto. I progetti sono stati in qualche modo investiti nell’esercizio del controllo”, associando le donne alla sfera casalinga e l’accesso a certe cose riservato solo ad alcune donne. È ancora la Wilson a parlare in riferimento all’analisi della comunicazione della Hermann Miller, a cui dedica un intero capitolo. Ricordando che lo stesso mondo dei progettisti non era inclusivo. Basta scorrere a memoria i volti dei designer in auge all’epoca – poche donne, molte con ruoli secondari, e praticamente nessun afroamericano – ai quali dobbiamo anche la fondazione dei nuovi dettami stilistici presentati e diffusi attraverso prodotti e saggi teorici, non sfuggiti all’esame scrupoloso dell’autrice. La corposa disamina si allarga fino ai consigli per la decorazione e all’oggettistica, capeggiata dall’equipaggiamento suggerito per organizzare un perfetto cocktail-party e chiusa con le collezioni di oggetti souvenir di viaggi esotici. Senza negare il fascino che ancora emana, il volume ci racconta un altro punto di vista sulla storia del Modernismo. Da considerare mentre ci si accomoda su una amata poltrona vintage, compiacendosi di avere idealmente libero accesso al mondo fluttuante, elegante e luminoso che esprimeva nel passato. Titolo: Mid-Century Modernism and the American Body. Race, Gender and the Politcs of Power in Design Autore: Kristina Wilson Casa editrice: Princeton University Press Anno di pubblicazione: 2021 Pagine: 264 Lingua: inglese 4 ottobre 2021 Share