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Il futuro delle città nelle parole di IDEAT Francia, The New York Times, Dezeen e Pambianco Design

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Il futuro delle città nelle parole di IDEAT Francia, The New York Times, Dezeen e Pambianco Design

Visioni e scenari delle metropoli di domani tra gli articoli pubblicati da quattro magazine internazionali di architettura e design

“Che cos'è una città sostenibile se non quella che riduce al minimo il proprio impatto ecologico sull'ambiente?” si domanda il magazine francese IDEAT, portando gli esempi di cinque città europee che si stanno immaginando il proprio futuro green con un’agenda fissata al 2050: Vienna, Monaco, Zurigo, Stoccolma e Angers. “Nel 2050 – infatti - secondo l'ONU, sette persone su dieci vivranno in città. […] Il cambiamento climatico, la scarsità di risorse e l'inquinamento portano a una seria messa in discussione delle nostre abitudini. Lavorare in città, spostarsi, consumare, divertirsi a viverci in buona salute stanno diventando preoccupazioni concrete, soprattutto da quando la pandemia di Covid-19 ha stravolto la nostra percezione dell'ambiente urbano” (leggi l’articolo completo su IDEAT France)

Sempre cinque sono le città vincitrici del premio The Earthshot Prize, il prestigioso riconoscimento della Royal Foundation del Duca e la Duchessa di Cambridge William e Kate a Londra: una delle prime due a riceverlo è la città di Milano. “David Attenborough, nel discorso di apertura, ha ammonito che ‘ciò che decidiamo di fare o non fare nei prossimi dieci anni determinerà il destino del pianeta per i prossimi mille’. Milano è stata premiata per la sua politica cittadina di lotta agli sprechi alimentari, grazie alla quale le eccedenze vengono consegnate a banchi alimentari e associazioni benefiche; il Costa Rica è stato invece premiato per un sistema nazionale che ha invertito il trend della deforestazione pagando i cittadini impegnati a riforestare il territorio. Gli altri tre vincitori sono stati Takachar, un’impresa sociale Indiana che sviluppa tecnologie per combattere l’inquinamento atmosferico prodotto dalla combustione di residui agricoli, Coral Vita, che sulla terraferma delle Bahamas coltiva coralli da trapiantare nell’oceano, e infine Enapter, un’azienda che si serve della tecnologia per abbattere le emissioni nel campo dell’energia elettrica rinnovabile”. (leggi l’articolo completo su The New York Times)

Così mentre a Londra si fa il punto sui passi avanti delle diverse città del mondo, dall’altra parte dell’oceano, a New York, il professor Jason Barr “ha proposto di estendere la superficie di Manhattan per poter costruire nuove unità abitative per 250mila persone a New York. Il progetto di Barr, che prenderebbe il nome di New Manhattan in onore del nome indigeno dell’isola, prevederebbe l’aggiunta di 1760 acri (circa 712 ettari) di superficie all’estremità di Manhattan. Su questo terreno troverebbero posto 180mila unità abitative, circondate da zone umide e paludi in grado di assorbire le mareggiate” (leggi l’articolo completo su Dezeen)

Proprio per una pianificazione urbana audace e innovativa, la città di Copenaghen è stata nominata capitale dell’architettura 2023. Un modello, quello della capitale danese, a cui guardano in molti, ma che potrebbe non essere sostenibile sotto tutti i punti di vista: “l’aver puntato l’attenzione su Copenaghen potrebbe aver scaturito una serie di reazioni a catena sfociate in una corsa agli investimenti da parte di builders e imprese, che hanno conseguentemente fatto schizzare i prezzi delle case alle stelle. Da un lato la sostenibilità del ‘modello Copenaghen, lo stile di vita, la scena gastronomica in crescita, la città del design e del progetto, dall’altro invece l’insostenibilità di rincari e mancanza di alloggi per una fetta di cittadini. […] La responsabilità degli investitori, della città e dei professionisti è quella di garantire che Copenaghen non diventi una nuova Venezia o Barcellona. […] ‘Quel che serve a Copenaghen è un sistema di finanziamento alternativo rispetto alle solite speculazioni a breve termine – spiega Justine Bell, partner dello studio Djernes&Bell – che spesso dettano legge sull’assetto urbanistico e sulla qualità dell’architettura. A me interessa riflettere sulla proprietà collettiva (in Danimarca chiamata Andel, ovvero l’acquisto di un immobile in comune con altri proprietari, n.d.A.) che è parte della cultura di questo Paese, vero volano per un cambiamento necessario’.” (leggi l’articolo completo su Pambianco Design)

11 febbraio 2022