Salone Selection Martin Parr loves sports Testo di Alessandro Ronchi Aggiungi ai preferiti © Martin Parr / Magnum Photos Una selezione di scatti tematici dall'opera proteiforme del fotografo britannico: lo sport (e affini). Martin Parr è uno dei più grandi fotografi viventi non solo perché ha inventato un linguaggio proprio ma perché quel linguaggio è necessario, militante e al contempo divertentissimo. Parr ha portato nella fotografia alcune attitudini tipicamente british: quella per il ritratto socio-antropologico witty, al contempo caustico e complice (che ha fatto la fortuna di tanto britpop, dai Kinks ai Blur) e quella per il terrorismo semantico, l'attentato ontologico che ribalta il mondo camuffato da motto arguto (che ha fatto la fortuna e il fraintendimento di Oscar Wilde tra i molti). Martin Parr si è trovato nel momento giusto - a tempo libero inventato, democratizzato e imposto come dovere di consumatori a working e middle class - e ha trovato da sé i posti giusti: i luoghi del consumo e del divertimento nella società del benessere diffuso dopo il boom post-bellico. Diserta i soggetti classici della bella foto patetica (zone di guerra, ospedali psichiatrici, villaggi africani eccetera) per cercare la verità del suo tempo nelle spiagge, nei parchi tematici, nei (non) luoghi del turismo di massa dove si disinteressa all'attrazione turistica per concentrarsi sulle folle. Caption © Martin Parr / Magnum Photos Dopo che i pionieri americani come William Egglestone hanno rivendicato il soggetto non aulico, Martin Parr si trova appaiato con altri pionieri europei quali Luigi Ghirri nell'intenzione di dissacrare l'aura dell'immagine fotografica, toglierle la pretesa di sguardo puro, primo sul mondo. Non è un caso che una delle foto più iconiche sia proprio "Kleine Scheidegg" del 1994 dove la gerarchia dei piani tra reale e rappresentazione è invertita. Guardare la realtà delle cose, nella società tardo-capitalista, significa imbattersi continuamente in riproduzioni e altre immagini. Parr e Ghirri sono tra i primi a capire la necessità di fagocitarle per creare immagini alla seconda potenza straniate e stranianti dalle quali passi un pensiero socio-antropologico piuttosto che un distaccato compiacimento estetico. Come negli aforismi di Oscar Wilde, l'aspetto umoristico delle foto di Martin Parr nasce da una sovversione delle aspettative logiche, da un elemento assurdo che si sente perfettamente a suo agio oppure da un punto di vista deviante. Così, da scienziato, stabilisce la cifra tecnica nell'uso di obiettivi macro e del taglio close-up, nella distanza che non influenzi il comportamento del soggetto / oggetto di studio contestuale all'estrema vicinanza da studio entomologico. Camera, Installation View Ph Andrea Guermani Camera, Installation View Ph Andrea Guermani Camera, Installation View Ph Andrea Guermani Camera, Installation View Ph Andrea Guermani Camera, Installation View Ph Andrea Guermani Camera, Installation View Ph Andrea Guermani Nelle sue foto sportive gli atleti, come i monumenti nelle sue serie turistiche, si vedono, se e quando si vedono, soltanto di sfuggita. A interessare Parr è l'aspetto rituale e sociale che circonda lo sport quindi lo spettatore piuttosto che il campione, il tempo morto piuttosto che il gesto atletico, il kitsch piuttosto che l'enfasi. Se riorganizziamo le immagini in senso cronologico notiamo una evoluzione della poetica di Martin Parr: è costante l'uso spregiudicato del colore e la scelta dei soggetti ma si nota una sorta di graduale resa al caos, soprattutto negli scatti presso gli US Open dove le folle scomposte e isteriche vanno verso la deformazione espressionistica. Se il primo Parr cercava ancora un senso nelle forme del mondo, per quanto fosse obliquo, comico o grottesco, le scene più recenti alludono a inferni fiamminghi declinati al contemporaneo, i volti mostruosi rimandano alla "Salita al Calvario" di Hieronymus Bosch. E in fondo la grandezza di Martin Parr sta anche in questo: nella capacità di evocare con la stessa fotografia Rafael Nadal, Tom Wolfe e Hieronymus Bosch.