Storie Marva Griffin in conversazione con Peter-Philipp Schmitt Testo di Peter-Philipp Schmitt Aggiungi ai preferiti La fondatrice e curatrice di del SaloneSatellite parla della sua infanzia in Venezuela, dei suoi inizi a Milano e di come è entrata in contatto con il Salone - sempre con un occhio al futuro. Peter-Philipp Schmitt ha incontrato per la prima volta Marva Griffin nel 2002. È stato il suo primo Salone del Mobile di Milano e il suo quinto SaloneSatellite. Fu colpito dalla partecipazione di un grande numero di giovani designer provenienti da tutto il mondo. Da allora ha partecipato all’evento ogni anno, fino al 2019. E, Ogni anno, ha cercato di individuare un giovane talento tedesco da poter raccontare. Uno dei giovani designer fra tutti: Sebastian Herkner, che lui ha conosciuto nel 2009 al SaloneSatellite e, che oggi è rinomato in tutto il mondo. Marva, ti ricordi il tuo primo Salone del Mobile? Naturalmente! È stato quasi 50 anni fa. Lavoravo come assistente, interprete e addetta alla comunicazione per la C&B Italia (ora B&B Italia) con il CEO Piero Ambrogio Busnelli e il suo socio Cesare Cassina. Sei originaria del Venezuela. Che cosa ti ha portato in Italia? Prima di tutto devi sapere che tutti i Latino-Americani hanno una cotta per l’Europa in quanto la consideriamo “el viejo continente”, il vecchio continente: c’è tanto da imparare e da vedere. Volevo aggiungere l’italiano alle lingue che già sapevo e quindi ho frequentato l’Università per Stranieri di Perugia. Al termine dei miei studi ho trascorso un po’ di tempo a Milano. Quando poi sono tornata in Venezuela, dopo sette mesi ho deciso di ritornare a Milano per viverci e lavorare. Ho trovato un lavoro dopo aver letto un annuncio sul Corriere della Sera. La C&B Italia stava cercando qualcuno come assistente del CEO, ho fatto domanda e ho ottenuto il lavoro. Ti sei sempre interessata al design? Fin da bambina, ho sempre avuto la passione per gli interni della nostra casa. Eravamo una grande famiglia. Avevo cinque sorelle, tre fratelli. Mio padre era un uomo d’affari. E avevamo una casa grande, molto bella con un bel giardino. Le mie sorelle erano più interessate alla cucina, a imparare e a lavorare insieme a mia madre, mentre io mi occupavo del resto della casa e del giardino. Mi piacciono molto i fiori, infatti, decoravo sempre la casa e spostavo spesso i mobili. A El Callao, la cittadina del Sud del Venezuela dove sono nata e cresciuta, c’era solo un supermercato dove con la mia paghetta compravo House & Garden e House beautiful. In seguito, hai lavorato per quelle riviste. Mia madre fu molto sorpresa quando divenni corrispondente in Italia per la rivista francese Maison & Jardin, per l’americana House & Garden e, anno dopo anno, anche per American Vogue, proprio la rivista che compravo da bambina. Questo è avvenuto dopo aver lavorato per la B&B Italia. Ho dovuto lasciare quel lavoro dopo che mi era stato chiesto dalla Condé Nast di lavorare per loro. Tuttavia, ho continuato a fare PR per B&B Italia come freelance. E attraverso Busnelli sei entrata in contatto con il Salone? Dopo qualche anno, mentre organizzavo “Incontri Venezia-I tessuti nell’arredamento” e “Incontri Venezia-Il Design nell’oggetto” a Venezia, il Segretario Generale del Salone del Mobile Manlio Armellini è venuto da me dicendo: “Marva, ho bisogno di te!” Voleva che mi occupassi della stampa internazionale e che organizzassi delle mostre collaterali al Salone del Mobile. La prima cosa che ho fatto è stata l’organizzazione del Salone del Complemento d’Arredo con il tessile e gli oggetti. Era l’inizio degli anni ‘90. Qualche anno dopo hai lanciato il SaloneSatellite. In quell’occasione sei diventata una mentor per molti giovani designer. Com’è successo? Lavoravo ancora come freelance per le solite riviste. E, quindi, ero sempre alla ricerca di giovani talenti. Ma era difficile per loro. Si trattava di individui singoli, non di aziende, quindi non potevano partecipare al Salone del Mobile e pochissimi fra loro potevano permettersi uno spazio a Milano per mostrare i propri prodotti: una città troppo cara per loro, e l’obiettivo di essere visti dai produttori e dagli espositori non era raggiungibile. Volevano essere dentro la fiera. Alcuni dei ragazzi sapevano del mio rapporto di lavoro con il Salone del Mobile e mi pregavano di parlare a loro nome per poter entrare in fiera. Così, ho parlato con il Signor Armellini, che dopo molte discussioni mi ha detto: “Esiste uno spazio. Vedi quello che puoi fare per portare i giovani designer al Salone.” Era il novembre del 1997. Ecco come è iniziato tutto. Solo qualche mese dopo, si è inaugurato il primo SaloneSatellite, nell’aprile 1998. Come ci sei riuscita? Ho diffuso la notizia e ho chiesto ad alcuni giovani designer che conoscevo di fare la stessa cosa. Ho chiamato molti dei miei colleghi presso altre riviste e ho raccontato loro della mia idea. Per esempio, Chantal Hamaide, fondatrice di Intramuros, la rivista francese del design e dell’architettura di interni, che mi ha detto: “Marva, la prossima settimana andrò a vedere lo Studio di Philippe Starck, dove ci sono molti giovani designer”. Patrick Jouin era un assistente di Philippe e mi chiamò. Anche se mi era rimasto solo un piccolo spazio, perché era già tutto al completo nell’aprile del 1998, lui espose la sua collezione e subito le aziende iniziarono a lavorare con lui e a produrre le sue creazioni. Molti giovani designer che iniziarono in quel periodo al SaloneSatellite sono diventati oggi famosi come designer e produttori ed espongono all’interno del Salone, come Dirk Wynants, che ha fondato l’azienda belga Extremis. È molto orgoglioso di ciò e racconta i suoi inizi al SaloneSatellite in tutte le interviste che gli richiedono; o Davide Groppi, che ha questa incredibile azienda di lampade e illuminazione e attualmente espone a Euroluce; oppure come Pedro Paulo Franco, che ha esposto al SaloneSatellite per tre anni e ora è un produttore in Brasile, e così molti altri. Quanti giovani designer hanno partecipato finora al SaloneSatellite? Più di 12.000 provenienti da 48 paesi diversi. Nel primo anno ne abbiamo avuti un centinaio circa. Ma è diventato un evento sempre più ampio e ora ne abbiamo oltre 500. A settembre è già tutto prenotato il SaloneSatellite? Ah, sì. Perché tutti i designer che erano confermati l’anno scorso partecipano anche quest’anno e sono riconfermati. L’evento del 2020 era stato totalmente organizzato quando abbiamo dovuto cancellarlo a causa del Covid-19. Ma ci sono anche dei nuovi arrivati nel 2021 che sono stati valutati dal Comitato Selettivo. Ogni anno invito un gruppo di personalità del mondo del design per aiutarmi a individuare i migliori giovani talenti che hanno fatto domanda al SaloneSatellite. Per il 2021 ho chiesto a Roberto Gavazzi della Boffi/De Padova, Giulio Cappellini, la giornalista brasiliana Fernanda Massarotto, Silvia Nani del Corriere della Sera, Beppe Finessi, Pasquale Junior della Natuzzi e altri ancora. L’abbiamo fatto sulla piattaforma Zoom a ottobre del 2020. Quindi, speriamo che a settembre ci sarà un SaloneSatellite con una selezione di designer del 2020 e 2021. Tornando indietro ai tuoi inizi in Italia, non è stato probabilmente facile in quell’epoca essendo donna e straniera. Forse, ma ero più interessata a imparare qualcosa su questo paese e a fare il mio lavoro. Mi considero estremamente fortunata a vivere in un posto che ho scelto e, naturalmente, ad affrontare problemi normali, ma non per il fatto di essere donna o straniera. Sono un tipo di persona che dimentica e cerca di eliminare tutte le negatività della vita. Penso positivo. Sono stata fortunata nel trovare un lavoro, viaggiare per il mondo con grandi imprenditori come Cesare Cassina, Piero Ambrogio Busnelli e Dino Gavina, e ad aver incontrato designer/architetti come Vico Magistretti, Richard Sapper, Afra e Tobia Scarpa, Gaetano Pesce e molti altri. B&B Italia è stata l’Azienda con la A maiuscola alla fine degli anni ‘60-inizi anni ‘70, che ha creato dei prodotti straordinari come “Coronado” di Afra e Tobia Scarpa, ”Up Series” di Gaetano Pesce e “Le Bambole” di Mario Bellini. Era compito mio tradurre quasi ogni giorno le spiegazioni di Piero Busnelli a visitatori importanti come l’architetto Gio Ponti, Philip Johnson, il CEO di Herman Miller e moltissimi altri che venivano a trovarci per capire il successo di tale azienda. Ti puoi immaginare: io fra tutte quelle persone? Incredibile. Il Salone è cambiato molto nel corso degli anni. Qual è per te la trasformazione più evidente? Non parlerei di cambiamento né trasformazione. È un’evoluzione, un’innovazione che c’è stata e continua a esserci. Quando il Salone è diventato internazionale, il Signor Armellini mi ha chiesto di diventare la responsabile della stampa internazionale. E abbiamo realizzato degli eventi con la stampa in tutto il mondo, in diversi paesi. È stato duro promuovere il Salone, ma è stata una bella ricompensa diventare il numero uno degli eventi mondiali nel settore dell’arredamento. Il Coronavirus ha sconvolto le nostre vite quotidiane. Come vedi il futuro del Salone? Il mondo è cambiato. Il mondo deve cambiare. Noi dobbiamo cambiare. Tutto cambierà. Il digitale è la nuova normalità. Dipendiamo dai computer. E odio quest’idea. Odio Zoom. Ho la sindrome della fatigue da Zoom. Ma non ne posso fare a meno. Ci incontriamo con gli altri solo sugli schermi dei nostri computer. Mi rattrista vedere i bambini piccoli che non vanno a scuola. Tutto è cambiato. E sono sicura che ci saranno dei cambiamenti quando si tratterà di realizzare le fiere. Ma qui c’è un punto interrogativo. Vediamo che succederà a settembre. Al Salone continuiamo a lavorare normalmente per settembre 2021 e poi per aprile 2022. Incrociamo le dita. Vedremo! Che cosa ti è mancato di più negli ultimi mesi? Viaggiavo spesso: treni, aerei, eccetera. Sono molto curiosa e per il mio lavoro devo vedere molte persone e molte cose. Il mio ultimo viaggio risale al gennaio 2020. I primi mesi dopo quella data ero piuttosto felice perché odio fare i bagagli. Ma ora, devo confessare, sono stufa di non poter muovermi affatto. Spero di poter riprendere a girare il mondo il più presto possibile e di andare nel mio paese, il Venezuela. 6 luglio 2021 Share