Storie Patricia Urquiola Testo di Marilena Sobacchi Aggiungi ai preferiti Photo by Massimiliano Sticca Le priorità dell’oggi? Riflettere su circolarità, utilizzo di materiali bio-organici, consumo virtuale; su come progettare tempi e comportamenti all’interno di spazi ibridi Classe 1961, Patricia Urquiola è nata a Oviedo (Spagna) ma da trent’anni ha scelto l’Italia come casa. Assistente di Castiglioni dopo la laurea e di Eugenio Bettinelli al Politecnico e all’ENSCI di Parigi, una lunga collaborazione con De Padova al fianco di Vico Magistretti, coordinatrice del Gruppo design dello studio Piero Lissoni, Patricia Urquiola apre, infine, il suo studio nel 2001, lavorando nei settori del product design, del design d’interni e in architettura per le più importanti società italiane e internazionali. Ha vinto commesse ambite e premi internazionali a testimonianza che talento e determinazione, esuberanza e trasporto emotivo portano davvero lontano. L’empatia è la bussola che guida il suo percorso professionale: il suo design non crea distanze ma stabilisce relazioni. Nel suo lavoro coniuga tradizione e contemporaneità, pensando sempre al futuro. Per lei, colore, materia e luce sono tre elementi che interagiscono tra loro: ciò su cui riflette in ogni suo progetto è cosa accade quando si incontrano. https://patriciaurquiola.com/ Come hai trascorso il periodo di isolamento e le prime fasi post crisi pandemica? Lo studio è sempre stato aperto e abbiamo lavorato tutti da remoto. Ho ricreato un angolo home office in casa, come molti di noi. I ragazzi dei team di architettura e design potevano venire in sede quand’era necessario per controllare un prototipo o preparare schede materiali. Direi che è un metodo che ha funzionato, abbiamo lavorato bene, con nuove energie e abbiamo creato quella che mi piace definire ‘comunità a distanza’. Ci siamo aiutati a vicenda, abbiamo organizzato chiamate di lavoro ma anche di tipo informale, consigliandoci quali film guardare e quali libri leggere. Abbiamo usato questa tragedia per fermarci, ricercare e condividere la nostra ricerca e cercare di pensare a come progettare la nuova normalità, per noi e per i nostri clienti in tutti i settori in cui stiamo lavorando: prodotto, residenziale, retail, hospitality, uffici, collaborazioni culturali che sono diventate digitali come quello di Casamondo con il museo Maxxi. Quali sono ora le sfide che progettisti e designer dovranno affrontare con maggior urgenza quando si tratterà di ridisegnare lo spazio domestico? Il ruolo del designer cambierà profondamente, si evolverà, ci verrà chiesto di progettare comportamenti, oltre che prodotti. E nel product design dovremo puntare sempre di più sulla circolarità, dovrà diventare una condizione essenziale. Ci verrà chiesto – come sta in parte già avvenendo – di puntare sul ruolo e sull’utilizzo degli oggetti più che sulla proprietà. Come progettisti, dovremo ripensare il tempo e come organizzarlo all’interno degli spazi che saranno sempre più ibridi. Penso alle nostre case-ufficio, ma anche alle sedi aziendali che saranno organizzate in modo più fluido per adattarsi alle nuove necessità. La sfida sarà renderli totalmente sicuri e personalizzabili, anche se per poco tempo, puntando sul lato emozionale. Su quali nuovi valori secondo te dovremo puntare per un nuovo Rinascimento del Made in Italy che possa partire proprio dal design? Fare design in Italia vuol dire lavorare a quattro mani con imprenditori, manager, tecnici, operai che non dicono mai non si può fare. Personalmente, amo le sfide, cerco sempre di fare ciò che non è mai stato fatto prima, che sembra impossibile. Allo stesso modo, ho trovato nelle aziende italiane la stessa passione, la voglia di spingersi oltre i limiti, di tentare nuovi usi della tecnologia. Ogni professionista farà del proprio meglio per vincere la sfida, andrà a casa pensandoci e alla fine troverà la soluzione, nella maggior parte dei casi. Le persone con cui lavoriamo in Italia si innamorano dei progetti quanto noi e ne comprendono il valore complessivo e l’importanza di curare allo stesso modo prodotto, immagine, cataloghi, showroom, fiere. Dobbiamo ripartire da qui, dai nostri valori fondamentali, da ciò che sappiamo fare meglio. Come potrebbero lavorare meglio insieme, designer e industria? Da cosa partire? Pensi sia necessaria una riorganizzazione del sistema design? C'è stata una discussione anche prima della pandemia su molti fattori come creare circolarità, ricerca sui materiali, l’utilizzo di materiali bio-organici, consumo virtuale. Alcune risposte devono essere immediate, come quelle che riguardano le soluzioni per lavorare a casa, l’assistenza medica a casa, la sicurezza dell’ospitalità, una nuova mobilità. Questa situazione ci impone un coraggioso salto in avanti. Dovremo concentrarci su un doppio compito: non solo riparare ciò che abbiamo rotto, ma anche ripensare ciò che già funzionava, potenziando processi positivi come il trasporto a zero emissioni, tornare alla sharing economy, investire su fonti di energia rinnovabili. Tante sfide diverse e importanti. La chiave di lettura dei tuoi progetti? Non ho uno stile, non amo definire il mio modo di esprimermi. Ogni progetto è diverso, potremmo dire che è un viaggio sempre nuovo che comincia con ciascun cliente. Empatia, dialogo e contaminazioni sono i miei mantra e mi guidano nella progettazione, dandomi la libertà di passare fluidamente dalla scala micro alla macro. Sengu Sofa, Cassina © DePasquale+Maffini Bio-mbo, Cassina ©DePasquale+Maffini Rondos, Cassina ©DePasquale+Maffini Lud'o Lounge, Cappellini Ruff, Moroso Photo by Alessandro Paderni Anatra, JANUS et Cie. Photo by David Peterson Tea-trolley Cascas e console Raiz, Etel Photo by Filippo Bamberghi Tea-trolley Cascas e console Raiz, Etel Photo by Filippo Bamberghi Patcha Collection, cc-tapis 5 ottobre 2020 Share