Piero Lissoni: l’errore è cruciale per progredire
Con il suo approccio elegante e a tratti laconico, firma progetti improntati su rigore e semplicità. Il rapporto personale e profondo con le aziende con cui collabora come art director è alla base per la realizzazione di prodotti di successo. Un processo laborioso nel quale gli errori sono fondamentali per evolversi e continuare a migliorare
L’art director è una specie di collante, diventa la faccia pubblica di un gruppo di lavoro molto complesso. Non è un one man show. Le nostre competenze ci trasformano in antenne all’interno delle aziende con le quali collaboriamo, un ruolo che si muove a 360 gradi, tenendo conto delle virtù, delle qualità, delle capacità produttive e creative. Il suo compito consiste nel riallineare gli elementi per renderli tra loro coerenti, il che non significa renderli noiosi: nella coerenza ci sono anche i colpi di testa.
Il primo ruolo fu Boffi. Mi ero appena laureato e scelsero – ad altissimo rischio - un neofita totale. L’aspetto fondamentale è che ciascuna azienda è un unicum, ha una storia, una cultura, un modo di interpretare … Parafrasando Tolstoj, ogni azienda ha difetti differenti dai precedenti. L’art director di volta in volta si adatta all’anima di queste creature e porta qualcosa di suo, la capacità di mischiare coerenza con alzate di ingegno, di tenere la barra dritta e di avere il coraggio di mettersi a volte di traverso.
È una richiesta di dialogo stretto, molto personale, non demandabile. L’art direction è come un virus: una volta innestato determina ciò che accade. Se il batterio è pericoloso ammazza chi lo trasporta, se invece è buono migliora e rende la creatura diversa. Come se installassimo un software all’interno di un hardware conosciuto: entrambi fra loro si rimbalzano finché l‘hardware cambia in virtù della presenza del software, e viceversa.
Una quantità infinita di errori e me ne ricordo uno per uno! Ho cercato di ripararne alcuni e la volta dopo ne ho commessi diversi, mai gli stessi. Bisogna essere creativi, dagli errori si impara tanto e se non si impara si continuano a reiterare, servono come punto di partenza per ridisegnarne nuove categorie. L’errore è fondamentale e quando ne parlo con i miei clienti - che amichevolmente sostengo essere vittime – affermo che è cruciale per poter procedere, progredire, evolversi, migliorare. Sono talmente innamorato dei miei errori che non potrei sceglierne uno in particolare… Le parti buone le do per scontate.
Di collaborazioni non ne ho sbagliate tante, devo lasciarmi guidare dalla mia personale sensibilità. Le poche volte che ho proseguito nonostante la mia sensazione non fosse positiva, si sono rivelate buchi nell’acqua. Ciò accade quando non si instaura la sensazione di andata e ritorno (gli inglesi la chiamano feeling o feedback).
Continuiamo a pensare che ci siano sfide. Le sfide sono partite quotidiane, non le sposto nel futuro. Ogni minuto lo è … Da art director, penso che sia un lavoro durissimo, che non è semplicemente essere intervistati, fotografati o partecipare a un happening. La realtà è che si tratta di un’attività costante, al di là della sfida di domani.
Abbiamo approfittato di questo elastico temporale (l’emergenza sanitaria) per ragionare con più tempo e senso della misura sui progetti per il 2022. L’anno passato è stato un “ammortizzatore sociale” che ci ha permesso di riprendere a un ritmo diverso. Un interregno utile per comprendere che forse dovremmo cambiare approccio.
Il fil rouge che unisce le due aziende è la domanda che entrambe mi pongono: “Piero, sei sicuro?”. Il secondo aspetto è il non fermarsi davanti a niente, anche di fronte a palesi, rischiosissime possibilità. Succedeva anche quando ero ancora inesperto. Per fare bene il mio mestiere ho bisogno di interlocutori coraggiosi: loro lo hanno dimostrato al punto di essere a volte sconsideratamente coraggiosi…
A tutti, in particolare a quelli che si sono rivelati un bidone! Sono i “figli di un dio minore” e quindi mi piacciono più degli altri. So che sono stati sfortunati, hanno magari avuto un’eccellente gestazione, sono stati costruiti, pensati, ragionati. Idealmente nati con un DNA perfetto ma sono rimasti al palo. C’è un affetto meraviglioso, li guardo e dico “ma accidenti…” È come se fossero vivi: nati con aspettative straordinarie, sono invece rimasti nel Purgatorio…
Stiamo andando a sfracellarsi contro un muro! L’art director ha bisogno di interlocutori fortissimi, senza controparte fortissima non lo si può fare. Non so se adesso alcune aziende siano deboli ma di certo pensano che l’art director sia una specie di sciamano. Siamo semplicemente delle antenne ma abbiamo bisogno di una controparte forte. Siamo passati da interlocutore all’interno di un team a sciamani, quasi sacerdoti. Devo dire: non mi piace neanche un po’.
Posso aggiungere che noi dobbiamo stare dietro le quinte. Noi non siamo le aziende, siamo parte dell’azienda! Questo è fondamentale.
C’è bisogno di silenzio…
Fare l’art director è una questione di scelta. Per i miei clienti divento una specie di psicoanalista, non perché sono matti ma perché entro in una parte profonda della psiche di un’azienda. Per creare questa relazione mi devono piacere le aziende, ma soprattutto le persone. Una volta dentro, ne conosco i problemi di gestione, persino le questioni familiari e ciò che succede a quel gruppo di persone. È una cosa asimmetrica: spesso non sanno di me ma io so di loro! Questo mestiere ha bisogno di elevata intimità, le poche volte che non è stato così non è finita bene.