Pietro Franceschini: “If we have to go beyond, let’s go beyond”
Progettista in equilibrio sul confine tra scultura e arredo, immaginazione e realtà, da piccolo voleva fare la rockstar. Il suo obiettivo? Una collezione che sia frutto di un viaggio, di una storia personale profonda, di un percorso intimo.
Fiorentino di nascita ma cosmopolita per vocazione, indole curiosa e romantica, Pietro Franceschini si trasferisce a Lisbona dopo gli studi e, in seguito, attraversa il mondo spinto dal desiderio di confrontarsi con diverse realtà del design e dell’architettura. Viaggiare resta la caratteristica principale del suo percorso, i luoghi cambiano a seconda dei progetti che lo interessavano. Portogallo, Egitto, Francia. L’esperienza che lo segna maggiormente è New York. È lì che le sue idee di progettazione e produzione evolvono radicalmente. Lì, la sua produzione si fa intellettuale, si allontana dalle lezioni europee e si legata fortemente all’approccio Object Oriented Ontology, che eleva gli oggetti a uno status oltre quello di semplici esseri inanimati. Attratto dal design da collezione, torna in Italia dove diverse collaborazioni lo aiutano a trovare un linguaggio coerente, anche attraverso l’uso di materiali come il metallo, l'ottone, la lamiera e il marmo. Le sue collezioni si fanno sempre più sperimentali: i pezzi classici e maestosi mantengono un tratto giovane e giocoso e raccontano di neotenia, ossia di quella condizione per cui un organismo raggiunge la maturità senza perdere tutte le sue caratteristiche giovanili.
Il tratto principale del tuo carattere? Curiosità.
Cosa sognavi di fare da grande? La rockstar.
Cos’è la felicità per te? Franz Schubert piano trio D.929, Op. 100: II.
I tuoi maestri? Leon Battista Alberti, Adolf Loos, Peter Zumthor, Ferda Kolatan, Rick Owens.
Il tuo artista preferito? James Turrell, Olafur Eliasson.
L’opera d’arte che vorresti avere sul comodino? Non mi piacciono i comodini. Se ne avessi uno, il ritratto che Bronzino ha fatto a Lodovico Capponi nel 1533 e che oggi è esposto alla Frick Collection.
Arte o design/arredo? Functional Art.
Cosa racconti con la tua progettazione? Il labile confine fra immaginazione e realtà.
Cosa possiedi di più caro? Una cicatrice sulla gamba.
Il primo ricordo di architettura/design? Sono nato a Firenze, prossima domanda.
Chi sono i tuoi eroi immaginari? Patrick Bateman (American Psyco).
Un eroe nella vita reale? Mio padre.
Di cosa non bisogna avere paura? Vivere nella paura è la più alta forma di miseria.
Di cosa hai paura? Di niente.
Da cosa trai energia? Dalla creatività.
Materiale preferito? La pietra, i metalli e i tessuti.
La rivoluzione digitale ha influito sul tuo iter creativo? Si, il mio lavoro è esattamente a metà fra digitale e reale.
In serie o autoproduzione? Autoproduzione.
Cosa ti emoziona? La bellezza.
Cosa ti ossessiona? Pulizia e chiarezza di linguaggio.
Perfezione o imperfezione? Imperfetta perfezione.
Emozione o funzionalità/razionalità? Razionalità emotiva.
Dove vorresti esporre? Tate Modern a Londra, Casa Malaparte a Capri.
Per chi vorresti produrre un oggetto d’arredo? Per il Dalai Lama.
Con chi vorresti collaborare/progettare? Destroyers Builders.
New York o Firenze? New York e Firenze.
Il prossimo viaggio? Egitto.
La lezione più importante che hai appreso in America? Sperimentare, sperimentare, sperimentare.
E quella appresa a Firenze? Il potere della ricerca e della dedizione.
Il motto della tua vita? “If we have to go beyond, let’s go beyond”.