Storie Raw-Edges: “Il design deve essere per tutti” Testo di Massimo De Conti Aggiungi ai preferiti Raw Edges, Ph.Tom Mannion Una conversazione con Shay Alkalay e Yael Mer, design duo israeliano di stanza a Londra che dal 2007 collabora con aziende internazionali ed espone nelle più importanti istituzioni museali Shay Alkalay e Yael Mer dal 2007 sono i Raw-Edges, pluripremiato design duo originato in Israele e affermatosi a Londra, che negli anni ha stretto collaborazioni con marchi come Vitra, Louis Vuitton, Stella McCartney, Airbnb, Moroso, Cappellini, Kvadrat e Mutina, con i loro pezzi esposti nei maggiori musei internazionali. Modellistica, incastri e movimento sono caratteristici del loro segno, i fattori base del loro approccio progettuale, caratterizzanti proprio come l’allegro arcobaleno di colori decisi da sempre presente nei loro design. Ma dicono sia tempo di valorizzare il grigio, inteso come posizione moderata da prendere nelle questioni. E lo ribadiscono in un’intervista in cui raccontano il loro percorso rispondendo con l’attitudine da creativi anche alle domande di stretta attualità. Cominciamo col chiedere come è la situazione in Israele… Mi interessa l’aspetto di come sia tutto polarizzato nella società di oggi, o bianco o nero. Do la colpa in parte anche ai social media nei quali tutti sembra debbano sempre prendere una posizione netta e definita. Non dovrebbe essere così. Siamo in quella fase della vita in cui dovremmo glorificare il grigio. Niente è tutto buono o tutto cattivo, la vita è una cosa complessa e abbiamo bisogno di sfumature, di gradazioni. Recentemente eravamo a Tel Aviv per delle questioni strettamente familiari, e abbiamo realizzato che la città è triste, in una condizione veramente di dolore. Cosa accadrà? Non ne abbiamo la più pallida idea ma è un momento veramente turbolento che rappresenta lo scenario peggiore per tutte le parti coinvolte. I leader politici non tengono conto delle vite umane. Quando si compie un’azione si devono considerare le conseguenze, anche le eventuali rappresaglie che ne seguono. Speriamo per il meglio. Quale è la storia dei Raw Edges? Siete partiti da Israele… Ci siamo conosciuti a Gerusalemme mentre studiavamo disegno industriale alla Bezalel Academy of Art and Design, la più vecchia scuola d’arte Israeliana che ha un po’ l’impostazione moderna e sperimentale del Bauhaus, fondata ancor prima dell’istituzione ufficiale del Paese. Abbiamo poi lavorato insieme per due anni, viaggiando molto, soprattutto in Giappone. Successivamente c’è stata l’opportunità di una borsa di studio per andare a Londra al Royal College of Art, all’epoca il designer israeliano Ron Arad era a capo del corso. Quando ci siamo laureati, a Gerusalemme c’era stata una mostra del design che arrivava dalla capitale britannica, una combinazione di Anthony Dunne e il suo Speculative Design del quale non avevamo mai sentito parlare. Insomma, dei pensatori che immaginavano il design, le soluzioni ai problemi, la relazione con gli oggetti, cose concettuali, ecc. Non eravamo mai stati a Londra ma si prospettata innatamente come la meta giusta dove andare. Lungo il corso della vostra carriera avete disegnato sia per i marchi del lusso che pezzi più accessibili. Quale è lo scopo del design? Dovrebbe arricchire e ispirare le nostre vite, renderle più interessanti e, in qualche modo, intrattenerci. Con approcci diversi: ad esempio, per il Modular Sofa disegnato per Cozmo la questione è stata creare un pezzo esteticamente valido ma che fosse anche fatto bene, comodo, economico e prodotto nel Regno Unito; il caso di Louis Vuitton è completamente differente, più legato all’espressione di un’idea, come avviene creando una scultura. La sfida è l’essere sempre creativi. Abbiamo fatto esperienza lavorando, ad esempio, con diversi marchi italiani, Cappellini, Moroso e Mutina, con gli svizzeri di Vitra, e i britannici di Established&Sons e Stella McCartney. Crediamo che il design debba essere per tutti e ci piace inventare nuove soluzioni. Israele è un paese giovane che si è inventato, creativo per definizione, che noi rispecchiamo. Herringbones, Raw-Edges, 2016 Tex, Mutina, Raw-Edges, 2012 Raw-Edges, Stella McCartney Store Flooring, 2009 Yael Mer e Shay Alkalay - Ph. Mark Cocksedge Che visione avete dell’ambito della produzione? Molte volte i costi di produzione non sono strettamente correlati ad essa ma alle dinamiche collegate, come lo stoccaggio, la dislocazione, le spese per il trasporto, l’esubero che va ripartito nei costi. Dobbiamo riconsiderare questi aspetti in un’ottica di ottimizzazione. Il divano citato precedentemente ha una base e delle “giacche” che possono essere cambiate o sostituite facilmente all’occorrenza anche per rinnovarlo. Questo permette la flessibilità di avere svariati rivestimenti ma, al contempo, un numero limitato di sofà o loro componenti in magazzino. Questo fa sì che abbia anche una vita più lunga. Una curiosità: uno dei vostri pezzi più rappresentativi è la cassettiera Stack realizzata per Established&Sons nel 2008, ce ne raccontate la genesi? A scuola abbiamo studiato molto i meccanismi, i movimenti e anche l’animazione. I cassetti devono per forza essere spostati per essere utilizzati. Abbiamo quindi provato a scardinare la geometria di una cassettiera tradizionale che è sempre la stessa, cercando di farlo in modo sorprendente e magico. All’epoca, il designer Martino Gamper aveva organizzato una mostra di studenti del Royal College of Art in occasione di un London Design Festival in cui noi avevamo presentato il prototipo di quel pezzo. Alasdhair Willis (ex direttore della rivista Wallpaper e fondatore del marchio Established & Sons, nda) lo ha visto e l’ha voluto, e sei mesi dopo lo abbiamo presentato al Salone di Milano. Avviene sempre così? In quella mostra avevano presentato anche un altro pezzo, uno sgabello con una base di schiuma, qualche esemplare del quale è finito nelle gallerie per collezionisti e prodotto invece in serie da Cappellini. Aveva però dei problemi di concepimento - la schiuma continuava ad espandersi - ed è stato presto ritirato dal mercato e tolto dal catalogo. Questa è la riprova che non sempre un design pensato come un’opera d’arte trovi poi corrispondenza in una diffusione commerciale più ampia. Come approcciate i marchi o come ne siate avvicinati? Non siamo molto bravi a proporci. Il 99% delle volte sono le aziende a venire da noi. Spesso accade che parta tutto da una mostra, così è stata sviluppata la serie Herringbones per Vitra; altre volte seguiamo il brief richiesto dai marchi. Dove trovate ispirazione? Ci piace molto interfacciarci con gente diversa, è una cosa che ci ispira. Il design è qualcosa che si fa con sé stessi, in genere da soli con i propri strumenti e le proprie idee. Un’attività che non definiremmo solitaria ma sicuramente intima, cosa che avviene anche per il giornalismo, immagino. Ci piace molto sportarci, verificare posti e situazioni che magari sono descritti in maniera diversa dai media. Troviamo sia una cosa molto sana. 29 gennaio 2024 Tags Interviste Share