Stefano Maffei: “Per comprendere il valore dei dati è indispensabile definire un framework interpretativo”
In occasione del Report (Eco) Sistema Design Milano ideato e promosso dal Salone del Mobile con la supervisione scientifica del Politecnico di Milano, una conversazione con l’architetto e Ph.D in Design Stefano Maffei.
Dalla sostenibilità alla legacy nell’ambito della rigenerazione urbana, fino alle strategie da mettere in campo per affrontare sfide più urgenti, dall’accoglienza alla mobilità, allo squatting comunicativo e altre criticità latenti. Il Report (Eco) Sistema Design Milano rappresenta il primo capitolo di un più ampio progetto di ricerca a cura di Susanna Legrenzi, Press & Communication Strategy Advisor del Salone del Mobile.Milano, in sinergia con il Dipartimento di Design - Politecnico di Milano. Con un approccio scientifico, il Report restituisce, per la prima volta, attraverso l’uso dei dati una fotografia nitida di un fenomeno di portata internazionale, dando origine al primo Osservatorio permanente dedicato a un evento unico al mondo. Con Stefano Maffei, Architetto e dottore di ricerca in Design, Professore ordinario presso la Scuola del Design del Politecnico di Milano, partiamo dai paradigmi delle città moderne per comprendere sfide e opportunità di questi organismi dinamici che oggi sono chiamati a rivedere e migliorare i loro modelli economici, sociali, ambientali.
Una grande complessità è data dagli interessi che mettono insieme diverse visioni sul futuro della città. Che direzione vuole intraprendere una metropoli contemporanea oggi? Quali asset sono rilevanti per investire, sia per produrre sviluppo economico che sociale e di comunità? I grandi induttori di potenzialità come il Salone del Mobile, con il suo ruolo di attrattore internazionale, e tutto l’universo di eventi in città contribuiscono a creare un insieme reputazionale estremamente potente, originando condizioni favorevoli per la città, ma la stessa città ha al contempo necessità 365 giorni l’anno di una cura dal punto di vista del suo funzionamento. Funzionamento ottenibile con accordi tra gli stakeholder per costruire nuove prospettive. Il tema è come fare bene, ma anche come farlo per tutti. Questo coinvolge da un lato l’iniziativa privata, che ha grande capacità e un’energia intellettuale e finanziaria che consente di attivare iniziative di qualità, dall’altro necessita di una complementarità con una parte pubblica per creare un sistema virtuoso e competitivo. Come ha sottolineato il sociologo e urbanista Charles Landry durante la Lectio Magistralis al Teatro Grassi in occasione della presentazione del primo Annual Report del Salone, è necessaria una cultura organizzativa.
C’è una visione un po’ superata, secondo cui l’idea di fare sistema coincide con il fare squadra. Se adottiamo una visione legata alla teoria delle reti sociali, sappiamo che i network non esprimono intenzionalità e la perseguono, ma agiscono in maniera complessa. Se dunque volessimo revisionare il significato del concetto di fare sistema, dovremmo dire come funziona e capire quali sono le strategie di intervento che appunto non sono mai direttamente proporzionali, altrimenti vivremmo semplicemente in un mondo di causa-effetto. Questo rende la dimensione del fare sistema meno intuitiva e lineare. Allo stesso tempo è necessario trovare una mediazione tra questa complessità, passando attraverso dati quantitativi e qualitativi per comprendere una dimensione articolata e non immediatamente percepibile con la logica comune. L’Annual Report 2024, che nelle sue oltre 270 pagine restituisce una prima, ampia analisi prototipale, esprime questa progettualità: ci aiuta a inquadrare meglio le relazioni di questo sistema e a capire che non ci sono cause effetto così semplici.
Mi vengono in mente due città completamente diverse. Da un lato Copenhagen, anche se ha una magnitudo completamente diversa perché rappresenta un sistem più contenuto rispetto a Milano, dove il rapporto pubblico-privato è rappresentato da una fortissima complementarità strategica di investimenti. Trovo interessante monitorare un processo di genesi su un soggetto privato che ha costruito una manifestazione come 3daysofdesign. Si tratta di un modello non replicabile as is in Italia, ma che ci permette di capire che esiste un bordo meno netto anche tra gli attori della Settimana del design di Milano. Lo dimostra il Salone, nel suo ruolo di promotore di business ma anche di un’offerta cultura sempre più robusta e ricca. Un’altra visione che mi vorrei menzionare è la visione di città di Shanghai, perché si colloca nella linea delle grandissime metropoli. Ragionare cosa succede sulla forza comunicativa di Milano quando si deve confrontare con un mercato così importante è molto interessante. È stato proprio partendo nuovamente da Shanghai, che il Salone, con i suoi progetti culturali, ha investito con successo in Cina con nuovi format espositivi ideati per innescare maggiore reciprocità. Aggiungo anche Barcellona, una città che sta diventando un luogo della convegnistica: la potenzialità legata al sistema delle fiere dell'ospitalità è stata trasformata e distribuita durante l'anno.
Come sottolineato da Charles Landry, l’obiettivo è trasformare Milano da Capitale del design nel mondo a Capitale del design per il mondo, in grado di promuovere la cultura e legacy, grazie al sistema di imprese e persone che ne fanno parte e contribuiscono ad arricchirlo con il loro lavoro. In questo modo potremmo avere una robusta possibilità di essere non solo un luogo di confronto una settimana all’anno con un valoro mondiale, ma un luogo permanentemente vivo.
L’Annual Report è una pietra fondante, un progetto come base di partenza per possibili sviluppi. L’Osservatorio Permanente ha due caratteristiche: una scientifica che deve continuare a integrare da un lato la quantità di fonti e la loro profondità granularità, dall’altro lato definire un framework interpretativo. I dati hanno bisogno di essere interpretati, e come tutti i processi costruttivi deriva dal mindset di chi li guarda: non esistono dati unbiased, lo diventano dopo un lungo processo di ricostruzione e di verifica delle influenze interpretative. Questa operazione richiede una negoziazione con i data holder, che sono anche stakeholder: soggetti che presidiano i luoghi dove i dati emergono e che al contempo sono interessanti alla dimensione di investimento e della trasformazione. La pluralità di voci è necessaria per costruire una visione, che parte da una cultura, un processo di educazione un milieu condivisi. Proprio come accade con il jazz, l’improvvisazione parte da un’estrema competenza.