Villari: il lusso pop dell’oro bianco
Distribuita ai quattro angoli del globo, l’azienda veneta non ha paura di reinventare i codici della porcellana. Senza archiviare il gusto per i classici, ma affiancandovi il contemporaneo con la complicità dei designer
Molte storie dell’industria italiana si assomigliano, ma ogni storia è speciale a modo suo. Pensiamo al caso di Villari, tra i principali rappresentanti della produzione di porcellana artistica del Bel Paese, un fiore all’occhiello per lo stile classico distribuito ai quattro angoli del mondo. Per questa azienda veneta, la scintilla scatta negli anni del boom, in quell’Italia che attraverso il lancio di nuove sfide imprenditoriali metterà a sistema crescita economica, innovazione della produzione e metamorfosi dei linguaggi estetici. Il caso dei coniugi Villari è sintomatico di questo percorso di vita e lavoro: nel 1967, Silvia e Cesare lasciano il loro posto da operai specializzati per fondare la loro azienda eponima a Solagna, a 70 km da Venezia. Si sono conosciuti lavorando nella stessa fabbrica di porcellane in provincia di Vicenza: insieme, tenteranno la scommessa di dare vita ad un’avventura imprenditoriale tutta propria, portatrice di una voce e un approccio alla ricerca unici.
Nei primi anni dalla fondazione, Villari si confronta con un genere specifico: la porcellana di Capodimonte, sviluppata a Napoli nel XVIII secolo sotto l’egida di Carlo di Borbone. Cesare, che in fabbrica è l’affabulatore della figurazione e delle forme, il cultore degli archivi e il certificatore ultimo della qualità dei pezzi prodotti, inizia a sviluppare piccole sculture di porcellana che raffigurano persone, animali e fiori. Riccamente decorate e dipinte a mano, le statuine non lesinano la copiosità dell’ornamento e fanno della ricchezza decorativa una caratteristica che non mancherà di intercettare l’interesse di pubblici stranieri. La stessa attenzione al dettaglio si applica anche ai servizi per la tavola, come piatti, vasi, servizi da tè, ma anche lampadari, coppe e centro tavola, tutti esito della stessa cura manuale, dello stesso paziente lavoro. Alcuni stilemi si affermeranno come un vero e proprio tratto distintivo, come la presenza di fiori e farfalle, che ancora oggi ritroviamo in uno dei templi del complemento classico, il grande magazzino Harrods di Londra, insieme ai 30 monomarca di Villari nel mondo. Ai canoni del barocco, napoletano ed italiano, seguirà poi l’esplorazione di altri stili, come il neoclassico o l’empire francese della collezione Grande Impero, restituiti con lo stesso timbro “alla Villari”.
Un salto di scala e notorietà arriva nel 1998. Ed è qui, in parte, che la storia inizia a prendere un tornate unico. L’artista americano Jeff Koons si interessa all’utilizzo della porcellana in maxi-formato e commissiona a Villari due grandi sculture. La prima è una reinterpretazione di un pezzo classico, il San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci, celebre per l’iconico gesto della mano che sembra rivolgersi e comunicare direttamente con lo spettatore che lo guarda. La seconda trasuda pop da ogni poro: si tratta di una scultura, “Michael Jackson and Bubbles", che ritrae la star statunitense con il suo piccolo scimpanzé dipinto in oro 24 carati. Il balzo di notorietà sarà immediato: nel 2001, la casa d’aste Sotheby’s batte il Jackson per 6,5 milioni di dollari. Le opere faranno il tour dei principali musei mondiali di arte contemporanea, trovando una vetrina di primo piano per il savoir-faire aziendale. La scommessa tecnica celata dietro alla produzione di questi lavori - pensiamo agli oltre cento pezzi diversi assemblati insieme per dare vita a questa articolata opera a taglia umana - può dunque dirsi vinta.
L’arrivo della seconda generazione contribuirà poi ad un'altra metamorfosi, ad un altro tornate della storia di Villari. Alessandra Barbara e Leone, i figli di Silvia e Cesare, sono essi stessi designer, coltivano interessi artistici e conoscono i codici che differenziano il senso del lusso nel nuovo millennio. C’è la consapevolezza che, se il gusto del classico e la propensione all’ornamento rimangono intatti per alcune tipologie di pubblico, per altri la porcellana si rivela di più difficile inserimento. Inizia così un progressivo percorso di rinnovamento delle collezioni, a cui fa eco il coinvolgimento di designer internazionali per ripensare non solo l’impianto decorativo, ma anche l’utilizzo stesso della porcellana all’interno di una casa che ha nuove regole per ricevere e per vivere il proprio quotidiano. La predilezione per il barocco si stempera, e una nuova visione più strettamente progettuale affiora, basata sull’articolazione di un concept specifico, capace di rinnovarsi collezione dopo collezione.
A cambiare è anche la scala applicativa, e i materiali utilizzati. Ormai forte di un linguaggio tutto suo, Villari allarga il suo orizzonte verso il mondo dell’interior con la produzione di mobili sotto il label Home Villari. Oltre la porcellana, i protagonisti diventano adesso il vetro di Murano, il metallo, la pelle, che prendono la forma di tavoli e tavolini, consolle, carrelli, finanche specchi e sedute. Anche il mondo degli accessori bagno è ben rappresentato, senza dimenticare quello delle fragranze che si unisce a complemento della più ampia definizione del senso dello spazio e dell’accoglienza di Villari.
Le novità presentate all’ultimo Salone del Mobile.Milano sono particolarmente esemplificative di questo viaggio nel tempo e nello spazio compiuto dall’ultima generazione Villari. Accanto al classico barocco ritroviamo, senza soluzione di continuità, alcuni designer del contemporaneo, come Fabio Novembre, Ora Ito, Kunal e Vibha Mehta dello studio Kvar di Mumbai, o Thomas Fuchs. Un imponente lampadario Luigi XIV troneggia nello stand, e convive con maschere dal tratto sfuggente, cavalli, vasi votati all’astrazione, carte da parati che riprendono i motivi una flora lussureggiante o serpenti del giardino dell’eden. L’opulenza non è rinnegata, ma assume sembianze più enigmatiche e talvolta più minimaliste, a fronte di una complessità esecutiva immutata. L’aura dell’oro bianco, importato da Marco Polo e rimasto un mistero per centinaia di anni, rilegge simboli e rievoca immaginari, mantiene il suo carattere suntuoso, ma sa offrire un nuovo volto a chi ha la curiosità per soffermare lo sguardo.