Salone Selection “Waste Age: what can design do?” Design Museum, Londra Testo di Jessica Mairs Aggiungi ai preferiti Waste Age, Exhibition Installation, Ph Felix Speller “Età della Pietra, Età del Bronzo, Età del Ferro; nel corso della storia sono stati i materiali a definire le epoche, ma potremmo dire che ora viviamo nell’Età dei Rifiuti?” è la domanda che ci pone il video di presentazione di una nuova mostra allestita al Design Museum di Londra Waste Age: what can design do? La mostra, la cui apertura coincide con il vertice COP26 sui cambiamenti climatici e che rimarrà aperta fino al 20 febbraio 2022, osserva l’innovazione nell’ambito della moda, del design del prodotto e dell’edilizia, e il modo in cui i designer scelgono di sfruttare i rifiuti come materia prima. “Il design ha contribuito a creare la nostra società e i suoi grandi sprechi, e avrà un ruolo fondamentale nel costruire un futuro più pulito” afferma Justin McGuirk, co-curatore di Waste Age. “Ciò significa ripensare quegli stili di vita e quei materiali che sono enormemente dannosi”. La mostra è suddivisa in tre sezioni: Peak Waste, Precious Waste e Post Waste, e parte dalla situazione attuale per formulare previsioni di un futuro più luminoso. Waste Age, Exhibition Installation Si apre con una piccola, ma a suo modo seducente selezione di prodotti in plastica che spaziano da un oggetto del desiderio come l’iconica Sedia Universale stampata a iniezione di Joe Colombo per Kartell all’onnipresente bollitore elettrico, come l’Autoboil di Redring Electric. Oggetti nei quali è facile percepire l’entusiasmo del design rispetto a questo materiale. Questi pezzi però sono circondati da molti altri esempi della presenza indesiderata della plastica, dalle migliaia di tappi di bottiglia che la corrente trasporta su una spiaggia nel giro di una sola stagione, agli imballaggi superflui, a una serie di gigantografie che mostrano vasti paesaggi invasi dagli pneumatici usati e devastati dall’attività mineraria. Le immagini, estratte dalla serie “Oil and Anthropocene” del fotografo canadese Edward Burtynsky, scuotono il pubblico mostrando un frammento dell’impatto dell’umanità sul pianeta. Accanto, l’installazione Fadama 40 dell’artista ghanese Ibrahim Mahama mette i visitatori di fronte a un enorme muro di rifiuti, costruito con televisori recuperati da una discarica di Accra che raccoglie rifiuti elettronici provenienti da tutta Europa. Più avanti si trovano più di 300 oggetti che mostrano come i rifiuti possono essere ripensati, diventando materiale di valore. Tra questi si trovano alcuni componenti d’arredo in plastica riciclata, come per esempio la sedia S-1500, realizzata dallo studio Snøhetta a partire da reti da pesca dismesse. Waste Age, Exhibition Installation La mostra dà spazio anche alle imprese dell’architettura, rappresentate dalle accurate scelte di materiali impiegati nella trasformazione di un complesso abitativo di Bordeaux progettata dagli architetti Lacaton & Vassal, vincitori del premio Pritzker, e dai materiali innovativi come il K-briq, un mattone composto al 90% di scarti edilizi progettato dalla start-up scozzese Kenoteq. Alla mostra si può ammirare anche il No Waste Dress della celebre stilista Britannica Stella McCartney, realizzato con i tessuti di scarto delle collezioni precedenti, insieme a un nuovo materiale di superficie sviluppato a partire dalle bucce di mais dal designer di prodotto messicano Fernando Laposse. Ognuno di questi prodotti ha un impatto significativo e di ampia portata. Waste Age, Exhibition Installation, Ph Felix Speller Oltre a fare da vetrina alle migliori pratiche, la mostra si propone anche di essere uno stimolo ad agire. “Questa mostra, di carattere decisamente ottimista, mostra l’energia e l’ingegno applicati a questa sfida, e desideriamo che rappresenti un punto di svolta. Possiamo davvero fare molto, ma dobbiamo cominciare capendo i nostri rifiuti”, sostiene McGuirk. Partendo da sé, il Design Museum ha chiesto a un gruppo di esperti di sostenibilità aiuto per ridurre l’impatto ambientale di questa mostra, e ha incaricato l’agenzia di consulenza creativa Urge Collective e il data analyst Ralf Waterfield di condurre una verifica. Il museo ha successivamente condiviso i risultati dell’audit ambientale sul proprio sito, stimando la produzione di CO2 della mostra in 10 tonnellate, di cui l’80% proviene dalla costruzione delle strutture e il restante 20% da altri aspetti, come per esempio la distanza percorsa dai materiali e l’energia impiegata per la comunicazione digitale nel corso dell’intero progetto. "Abbiamo incaricato gli specialisti di monitorare tutto il procedimento e di aiutarci ad apportare tutti i cambiamenti possibili” dichiara Curtin. “Questo per noi è soltanto il punto di inizio di un viaggio che continueremo, utilizzando le nostre esperienze e i dati raccolti per Waste Age come guida”. Il sito offre inoltre una serie di suggerimenti relativi a come integrare le idee proposte dalla mostra, spesso molto concettuali, nella vita di ogni giorno, dal prendere consapevolezza di quanto cibo sprechiamo all’ascolto di Circular, podcast presentato dalla giornalista ed esperta di design Katie Treggiden. “Dobbiamo affrontare il problema dei rifiuti; non possiamo più ignorare che cosa ne è degli oggetti quando ce ne disfiamo. Invece di pensare agli oggetti come cose che raggiungono la fine della loro vita, questa mostra ci invita a vederne le molteplici possibili vite” afferma la co-curatrice di Waste Age, Gemma Curtin. “Non è soltanto una mostra, ma è una campagna che invita a porre fine all’era dei rifiuti (#EndTheWasteAge), e tutti noi abbiamo un ruolo attivo da svolgere per il futuro. Questa mostra farà vedere che il design è in prima linea nel campo delle soluzioni sostenibili”. 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