Design Economy: il report di Fondazione Symbola

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I punti salienti del rapporto 2023 che descrivono economie, ambiti di operatività, suddivisione del lavoro e che delineano una traiettoria verso il rafforzamento degli obiettivi per la transizione ecologica e sociale

Quello sulla Design Economy è un report che Fondazione Symbola scrive ogni anno - insieme a Deloitte.Private e Poli.Design - per mettere a terra dati ed evidenze sull’economia del settore design, contestualmente a tutti i sistemi che le gravitano attorno, come quello delle geografie o della formazione. 

L’emblematica apertura - che cita Alexander Langer sostenendo che “la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile” - riflette le esigenze contemporanee di accelerare alcuni cambiamenti e, allo stesso tempo, rivela una larga e riconosciuta necessità di concretizzarli. Ecco allora che la direzione tracciata da questo statement si allinea con gli obiettivi internazionali che provano a orientare le industrie verso la produzione di beni e servizi sempre più sostenibili sotto gli aspetti ambientali e sociali. Sarà questo cambio di paradigma a rendere in ultima istanza le imprese del design più competitive. 

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Le imprese del design in Europa 

Nell’Unione Europea sono attive 222.390 imprese nel settore del design e la percentuale più alta di queste si trova in Italia: ce ne sono il 16,2% del totale - stesso dato della Francia. Negli ultimi anni, infatti, il numero delle imprese del design francesi ha registrato un incremento lievemente maggiore rispetto a quello italiano (+8,3% contro un +6,5%), ma mentre la Francia incide per il 10,7% sul fatturato totale del settore in Europa, l’Italia ne produce il 19,9%. Le aziende che operano nell’ambito del design in Italia, inoltre, occupano ben il 19,1% degli addetti (che in tutta l’Unione sono 283.685) ma è soprattutto in Spagna che sembra esserci un incremento notevole dei posti di lavoro nel settore, dal momento che tra il 2019 e il 2020 la variazione è stata positiva con una crescita del 16,4%.

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Chi sono i design workers

Nel settore del design, in Italia, lavorano più di 63mila persone che si dividono tra occupati dalle imprese, che sono quasi 16mila, e circa 20mila liberi professionisti. In tutto, quindi, le realtà che operano nel settore del design ammontano a 36.306, specializzate per il 53,5% nel product design, per il 28,4% nel multimedia design, per il 12,7% nello spatial design, per il 4% nel digital e interaction design e infine per l’1,5% nel service design.

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Frammentati in questi sotto-settori, i liberi professionisti lavorano per lo più nei campi del product e dello spatial design (rispettivamente rappresentano il 67% e il 70,3% degli operatori nei due settori) mentre le imprese si muovono soprattutto nei campi del communication e multimedia design (il 67,7% che si divide equamente tra imprese con massimo 10 addetti e imprese con più di 10 addetti) e tra digital, interaction e service design, settore in cui addirittura per il 65,7% operano imprese con più di 10 addetti. A trainare la domanda della loro offerta è tuttavia il settore dell’arredamento (14,3%), seguito dalla manifattura in generale, l’illuminotecnica, l’edilizia, il turismo, la ristorazione e la meccanica-automazione. 

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Le sfide per le aziende: sostenibilità e transizione ecologica e sociale

Oltre alle principali attività svolte da chi opera nel design - tra cui spiccano progettazione e produzione, sia manifatturiera che multimediale - è elevata anche l’offerta di attività di consulenza da parte di diverse realtà. Tra queste, il 31,9% offre supporto al progetto - come modellazione, prototipazione, testing, post-produzione, etc - a cui seguono attività di consulenza strategica, quelle di ricerca e infine di marketing. Da notare in questo quadro è però che tra tutte le attività di consulenza, quella che coinvolge più imprese con dimensioni maggiori ai 10 addetti, è quella della misurazione di impatti sociali e ambientali, i cui servizi sono richiesti per il 60,8% da chi opera nell’ambito del product design – e tant’è che il 60,4% delle competenze che riguardano il design per la sostenibilità ambientale si concentra nelle imprese o tra i liberi professionisti del design del prodotto.
Quindi, come evidenziato dal report, “se da un lato i designer si sentono preparati a rispondere alla richiesta di servizi di ecodesign (per cui l’86,9% dichiara competenze in ambito ambientale e il 72,5% in ambito sociale) dall’altro sembra che la domanda delle imprese stia seguendo un graduale percorso verso una maggior consapevolezza rispetto ai temi legati alla sostenibilità. [...] L’attenzione ai temi ESG si sta iniziando ad affermare nelle aziende, anche se si nota una maggior sensibilità verso i temi di carattere ambientale, a discapito degli aspetti sociali e di governance”. 
L’implementazione di obiettivi e criteri ESG in ambito aziendale, anche se per il momento drasticamente più evidente su quelli riguardanti l’Environment, presenta oltretutto vantaggi in termini di competitività, rafforzando il rapporto con i consumatori e la credibilità creditizia. Perciò, anche se attualmente a richiedere servizi di eco-design è soprattutto la filiera della manifattura (con l’arredamento al primo posto, che si avvale del 12,5% delle attività in questo ambito, seguito da packaging, edilizia, abbigliamento e automotive), l’innesco di filiere virtuose più in generale consente un innalzamento degli standard produttivi e organizzativi, originando valore e agendo quindi anche sulle sfere Social e Governance.

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Il design per la sostenibilità ambientale

Tra gli intervistati da Fondazione Symbola per l’elaborazione del report sulla Design Economy 2023, l’87,4% dei soggetti sottolinea l’importanza della sostenibilità nei progetti in corso. In particolare, a questa propensione alle competenze sul tema, corrispondono strategie molteplici che il settore adotta per incrementare gli obiettivi ESG.
Attualmente le competenze presenti nell’ambito della sostenibilità sono rappresentate per il 19,8% da strategie di design per la durabilità, che estendono il ciclo di vita dei prodotti integrando soluzioni di standardizzazione, riparabilità e riutilizzabilità. Segue per importanza il design per il riciclo rappresentando il 17,2% delle competenze e che progetta nell’ottica di una riduzione della quantità di materiali utili alla realizzazione di un prodotto e della separabilità delle componenti (che nella maggior parte dei casi aiuta a ridurre anche costi di approvvigionamento e di produzione). Il 13% delle competenze è invece costituito dal design per il disassemblaggio – che mette in pratica strategie che integrano l’attenzione ai materiali, alla componentistica, ai meccanismi di montaggio e in generale a tutti quei processi che facilitano riparabilità, riciclo e recupero.  A queste segue subito con il 12,5% il design strategico per la sostenibilità, che prende in considerazione un approccio molto più sistemico che integra tool complessi come strumenti di misurazione, kpi, protocolli di controllo, percorsi formativi e incentivi per accelerare l’adozione di pratiche innovative. “L’apporto che il design strategico per la sostenibilità può dare al tessuto imprenditoriale è significativo in termini di costruzone di relazioni” - si legge nel report - “perché in grado di generare innovazione sostenibile su diversi livelli: dal prodotto, al processo, alla valorizzazione territoriale.” I primi due aspetti infatti sono in grado di attivare relazioni tra imprese e di facilitare il movimento delle risorse all’interno dello stesso settore, ma anche tra settori merceologici diversi, e integrano in questo percorso dialoghi con amministrazioni locali e all’interno di progetti complessi pubblico privati. Le altre competenze presenti all’interno dell’ampio ventaglio di strategie per il design per la sostenibilità ambientale sono: product as a service (PAAS), il design della comunicazione e dell’informazione e il design per la rigenerazione.