Storie Emiliano Ponzi Testo di Marilena Sobacchi Aggiungi ai preferiti Photo by Ioan Pilat Tra i più importanti illustratori italiani contemporanei, per lui il disegno è un’assunzione di responsabilità. Vietato produrre variazioni sul tema. Imperativo cercare nuovi linguaggi, mondi, emozioni. Saper contemporaneamente raccontare, comunicare, coinvolgere e disegnare con un tratto che sia sempre personale, originale e distintivo è da pochi. Emiliano Ponzi è sicuramente tra questi rari talenti. Oggi, uno dei più importanti (e più giovani) disegnatori italiani contemporanei: ha disegnato copertine di libri per case editrici come Penguin Books, Feltrinelli e Mondadori, e illustrazioni per giornali e riviste tra cui il New Yorker, il New York Times, Le Monde e Repubblica, e lavorato con la Triennale di Milano e per aziende come Louis Vuitton, Bulgari, Armani, Ferrari e Lavazza. Tra i suoi progetti ci sono anche le illustrazioni per i murales alla fermata Tre Torri della metro lilla di Milano. La sua è un’avventura professionale divisa fra Milano e New York. Il suo tratto è semplice ed essenziale, delicato ma preciso, l’atmosfera, quasi metafisica, è quella di un incantesimo, il sentimento rimane sospeso tra l’elegia e la memoria. Questo stile è diventato il suo “marchio di fabbrica” riconosciuto in tutto il mondo, e gli è valso un’invidiabile serie di premi internazionali: Young Guns Award e Gold Cube dell’Art Directors Club di New York, medaglie d’onore delle Society of Illustrators di New York e di Los Angeles, riconoscimenti da How International Design Award, Communication Arts Illustration Annuals e American Illustration Annuals. In poco tempo. Emiliano Ponzi ha “solo” quarant’anni. www.emilianoponzi.com Ferrarese, milanese d’adozione ma cittadino del mondo per l’internazionalità delle sue commissioni artistiche. Chi è lei veramente? E’ netto, essenziale e definito come il suo stile che è anche molto poetico e metafisico però….? Ci sono dei luoghi in cui mi sento parzialmente a casa. Ho paura delle pantofole, se sto troppo comodo cerco di mettermi scomodo, spesso dormo sul divano e non perché abbia velleità da squatter. Forse l’essere apolide è una condizione mentale dove sentirsi in transito mai arrivati a destinazione. La stessa cosa è il mio modo di intendere il mio lavoro: cambiare forme e colori che ormai conosco troppo bene per provare nuove combinazioni. Aggiungere, poi togliere, fare e poi rifare per trovare quella linea più bella, quell’accostamento cromatico inaspettato. Non essere mai copie di se stessi, non produrre l’ennesima variazione sul tema: quando lavoro voglio emozionarmi, voglio avere la certezza di non sapere quale sarà il risultato finale a priori. E’ questo che fanno gli autori e i viaggiatori. Ricercano nuovi linguaggi e nuovi mondi. Quando ha capito che il disegno sarebbe diventato la sua vita? Non l’ho capito, l’ho scelto. Scegliere il disegno vuol dire averlo come compagno di viaggio sempre, prenderlo a braccetto, camminare con lui, nutrirlo, stare attento che non si faccia troppo male cadendo. E’ una grande assunzione di responsabilità. Devo sempre migliorare il dialogo con l’idea che la mente immagina e quello che la mano trasferisce su carta o sul computer. La mia più grande ambizione è diventare sempre più “bravo”, fare la mattina un disegno più bello di quello che ho lasciato sul tavolo la sera prima. Ha realizzato un’infinità di illustrazioni per riviste, giornali, nonché per la pubblicità oltre a due bellissimi libri e dei murales in uno spazio pubblico, come la fermata Tre Torri della nuova linea metropolitana milanese: tanti microcosmi o un’unica grande esperienza? Un’unica grande esperienza declinata in microcosmi. Ogni commissione ha regole ed esigenze diverse che affronto sempre con lo stesso metodo: la mediazione tra le esigenze del cliente e l’espressione della mia personale visione della realtà. Punto, linea o superficie, per citare un maestro della teoria artistica nonché illustre pittore? Ho amato molto questo testo di Kandinsky ma l’ho capito solo molti anni dopo. Mi ha insegnato la necessità di creare un sistema della propria estetica. La cura e l’attenzione a ogni forma, la ricerca di morfologie meno convenzionali e il dialogo in divenire con il proprio alfabeto artistico. Ha realizzato un progetto di sculture cinetiche con The Fablab. Come vede il futuro dell’illustrazione in un mondo sempre più digitalizzato? Non credo esista un rapporto antitetico tra analogico e digitale. L’esperienza delle sculture cinetiche è stata meravigliosa. I makers di Fablab mi hanno fatto scoprire gli ingranaggi costruiti ad hoc che si nascondevano dietro le sculture: luci, tiranti, polvere di ferro magnetica, fotocellule. Allo stesso modo ho provato stupore e meraviglia quando ho realizzato le 5 illustrazioni per Pirelli in Realtà Virtuale: ho dipinto in un mondo sconfinato fatto di luce bianca dove le immagini potevano essere viste da ogni angolazione. Penso che ogni strumento (nuovo o “vecchio”) sia appunto solo uno strumento per la finalità comunicativa ultima. Fa un grande uso del colore: pieno, netto, mai leggero o sfumato. E, quindi per finire, non possiamo non chiederle qual è il suo colore preferito e perché. E’ una domanda molto complessa, sceglierne uno farebbe un grande torto a tutti gli altri colori, utili a creare la suggestione di un’immagine. Con pistola alla tempia direi che il blu è forse il più versatile, quello che preferisco da usare in tutte le sue variazioni tonali. "The Journey of the Penguin" - Penguin Books anniversary "The Handmaid's tale" - Le Monde illustration American West - The book Magic mountains - Chicago Magazine Runaway MILANO - D "The Silence: The Legacy of Childhood Trauma" - The New Yorker "From Venice to New York" - Interni Magazine World Wide Wonder - Pirelli The Great New York Subway map - Moma 2018 “At the Solstice, in Praise of Darkness” - The New York Times 16 gennaio 2019 Share