Federica Biasi, il design silenzioso
La progettista milanese ha appena vinto l’EDIDA 2021 nella categoria “Young Designer of the Year”. Una lunga chiacchierata che spazia, come le sue fonti di ispirazione, tra la Scandinavia e il Giappone.
Trentadue anni, una laurea a pieni voti allo IED e uno studio a Milano in attività dal 2015, Federica Biasi si muove con sicurezza in diversi ambiti del design di prodotto, dal tableware agli imbottiti e non ama essere definita “giovane designer” – “insistere sull’età delle persone con cui si lavora”, spiega, “può nascondere una mancanza di fiducia”. Il suo è un design non urlato, basato su colori tenui e su forme morbide e avvolgenti, che ha già conquistato numerose aziende: Mingardo e Manerba le hanno affidato da tempo la direzione artistica, con altri ha avviato percorsi importanti e duraturi. Durante la design week che si è appena conclusa, ha presentato una serie di nuovi pezzi figli di queste collaborazioni: dalle “isole ufficio” Kokoro e dalla seduta Easy Chair disegnate per Manerba pensando allo smart working e alla crescente contaminazione tra spazi domestici e luoghi di lavoro alle poltrone Huli (per Frigerio) e Livre (per Gallotti&Radice), senza dimenticare i primi esemplari di una nuova collezione progettata per LaCividina e il candelabro Rue, parte di un progetto più ampio curato per Mingardo.
È vero, il progetto “one shot” non mi interessa quasi mai. Arrivare in un’azienda senza conoscerla e azzeccare subito il prodotto giusto, il feeling giusto è impensabile secondo me. Progettare è sempre una questione di rapporti umani e ci vuole tempo per creare un clima di fiducia che poi sul lungo termine paga. Con Gallotti&Radice, per esempio, abbiamo lavorato su vari progetti prima di arrivare a qualcosa che parlasse al 100% di me e al 100% di loro come la poltrona Livre. Per questo mi turba sempre molto quando qualcuno mi chiede un prodotto con un brief inviato via mail. A volte il progetto va in porto, a volte no, ma è difficile capire perché. Magari eri la persona giusta ma non ti hanno spiegato bene chi erano loro. Sicuramente nel computer di ogni designer c’è il progetto giusto per l’azienda sbagliata.
Tutti noi passiamo molto tempo a lavorare su progetti che poi non vanno in porto, i cosiddetti “progetti non nati”. Negli hard disk dei designer si nascondono senz’altro progetti validi che sono stati visti da pochissime persone, bisognerebbe trovare il modo di “accompagnarli” verso le aziende che potrebbero realizzarli al meglio.
Se dovessi raccontare quello che facciamo in studio, direi che è proprio una sintesi tra lo stile nordico – e con questo intendo lo spazio, la luce, i colori tenui, una certa maniera di utilizzare la materia e di cercare la luce all’interno del prodotto – le forme giapponesi, che mi piacciono molto. Del Giappone amo anche la filosofia, la lentezza, il fatto che si ricerchi sempre un significato dietro alle cose. Proprio in questi giorni stiamo presentando una nuova collezione di piastrelle che ho disegnato per Decoratori Bassanesi e che si rifà a un concetto della cultura giapponese: il Wabi-Sabi, la bellezza dell’imperfetto. I decori sono creati a partire da trame esistenti, per esempio i nodi dei tappetini in bambù che si usano per preparare il sushi, e ne conservano le piccole imperfezioni.
Sì, per circa due anni durante i quali ho lavorato come trend researcher per Fratelli Guzzini. Preparavo dei trendbook in cui riportavo tutto quello che succedeva in Nord Europa a livello di tableware. Era il 2011-2012, il momento in cui aziende come Muuto o Normann Copenhagen sono uscite sul mercato con dei prodotti contemporanei ben disegnati e sono diventate improvvisamente trendsetter nel settore. Io andavo a tutte le fiere, da Colonia ai Three Days of Design a Copenaghen, passando per Stoccolma, per cercare di capire quello che facevano. Si trattava di cambiare pochi elementi a livello di colore e di finiture e riuscire a riposizionarsi - una questione di sensibilità e ricerca del settore. La forza del design nordico contemporaneo sta proprio in questo, nel sapersi presentare sempre nel modo giusto senza lasciare nulla al caso.
È una domanda difficile, ce ne sono tanti che stimo per motivi diversi. Se sono arrivati a essere i protagonisti del design attuale e ad avere in mano, diciamo, le redini del gioco è proprio perché ognuno di loro ha dei punti di forza. Una figura che apprezzo particolarmente e che osservo molto, però, è Piero Lissoni: tornando a parlare di fedeltà, è riuscito a imporre il suo stile e al tempo stesso a fidelizzare le aziende con cui lavora al punto che non si capisce più dove comincia l’azienda e dove finisce lui, e viceversa. Mi piace molto il suo design perché è un design silenzioso. Quando guardi un prodotto di Lissoni non riesci a percepire la tecnologia che c’è dietro, non perché non ci sia ma perché arrivano prima la finezza, il dinamismo, l’idea che il prodotto abiti uno spazio.
Seguo sempre con molta attenzione i fratelli Bouroullec, Stefan Diez - il divano Costume che ha disegnato per Magis, per esempio, è un prodotto ben pensato, in cui la funzione viene prima dell’estetica –, Cecilie Manz… Lei mi piace perché ha un tocco femminile ma non lo esterna per forza in un decoro. La sua ultima mostra a Copenaghen è stata una sintesi estremamente accurata del lavoro che si nasconde dietro l’industrial design.
In questo momento in cui sto disegnando molti imbottiti, ti direi che mi sarebbe piaciuto molto disegnare il divano Camaleonda di Mario Bellini (del 1970) - concepirlo così intelligente e allo stesso tempo esteticamente corretto, di una bellezza atemporale.
In studio stiamo continuando a lavorare sui sistemi ufficio, un ambito che mi è affine e in cui abbiamo ormai un’esperienza tale da capire che cosa cercano le aziende e che cosa cerchiamo noi nel prodotto. Con LaCividina abbiamo appena presentato un piccolo incipit di una collezione di sedute e divani, Timo, che sarà molto più ampia e che sveleremo per intero al prossimo Salone, nell’aprile 2022. Con Frigerio stiamo ragionando su nuovi prodotti, dopo la poltrona Huli, e anche Lume, la collezione di tazze e tazzine che ho disegnato per Nespresso, dovrebbe arricchirsi di alcuni elementi. Ci sarà una collezione tableware che stiamo sviluppando con un’azienda che non ha niente a che vedere con il mobile ma lavora nell’ambito del vino. Nei prossimi mesi usciranno, poi, due collezioni outdoor per un’importante azienda del settore della quale per ora non posso fare il nome.
Dipende, spesso sono frutto di una sorta di brainstorming in studio. In generale, cerchiamo di proporre un nome che abbia a che fare con il prodotto stesso o comunque che abbia un significato, ma che questo non sia troppo evidente. Rue, per esempio, il nome del candelabro che ho disegnato per Mingardo per A Flame for Research, significa “via” in francese. Tutti i pezzi all’interno del progetto avevano a che fare in qualche modo con i concetti di vita e di morte. Rue si estende in lunghezza e corre lungo una sorta di binario sospeso, in questo senso rappresenta proprio il percorso della vita. Per Wabi-Sabi, di cui ti ho già parlato, il significato era importante ma lo era anche il fatto che fosse una parola composta perché si tratta di una collezione con due disegni diversi.