A lezione da Mario Cucinella
Dalla nuova sede milanese della SOS-School of Sustainability alla sua visione empatica dell’architettura, in particolare riguardo alla progettazione delle scuole: “perché c’è un rapporto proporzionale tra l’apprendimento e la qualità degli spazi. E un’evoluzione culturale a cui bisogna saper rispondere”
Con lui è difficile parlare di un solo argomento. Mario Cucinella è prima di tutto un pensatore concretamente immerso nella realtà. Architetto e personaggio poliedrico, pluripremiato in Italia e all’estero, oggi lavora tra Bologna e Milano dove, in via Poma 52, ha aperto da poco la nuova sede. Attivo a livello internazionale MCA - Mario Cucinella Architects interviene sulle città con progetti di rigenerazione sempre attenti a temi energetici e ambientali, come alla funzione sociale dei luoghi. Dichiaratosi “contro il bla bla ecologista degli architetti”, e anti-archistar, “roba da Anni ‘90”, dice, nella sua visione empatica e narrativa dell’architettura uno dei temi che gli sta più a cuore è senza dubbio quello della Scuola, affrontato anche nel nuovo libro “Architettura dell’educazione” (Maggioli). Alcune scuole sono già state realizzate - dal famoso asilo nido La Balena a Guastalla al nuovo Rettorato dell’Università Roma Tre - molte sono in corso, tra cui quella di Pacentro (L’Aquila) e la scuola di Montebelluna (Treviso). In questi anni però l’architetto ha fatto parlare di sé anche per aver fondato lui stesso una scuola, nel 2015, a Bologna: la SOS - School of Sustainability. Sei anni dopo, a settembre 2021, la SOS è stata trasferita nel nuovo headquarter milanese. Lo incontro qui, seduto a un tavolo con gli studenti.
Decisamente sì, ormai è la mia seconda casa. Abbiamo molti progetti qui come il Museo Etrusco della Fondazione Rovati che sarà inaugurato presto, Torre Unipol nell’area di Porta Nuova, SeiMilano in zona Bisceglie…
Ho un’immagine molto limpida della mia scuola d’infanzia, a Piacenza, con le sue due aule piene di luce, le vetrate, il giardino con il muretto basso. Vedi: l’architettura non si muove, ma viaggia nella memoria, lasciando dei ricordi. La scuola, in particolare, è il primo spazio pubblico che sperimentiamo da soli, da bambini, e in cui entriamo come collettività. È uno spazio che contribuisce a formare la nostra identità.
Più che standardizzate, direi brutte. Quando incontro gli studenti mi raccontano che soffrono all’idea della classe chiusa, in cui tra l’altro viene chiusa anche la porta, e dove non c’è mai abbastanza luce. Vorrebbero un soffitto da cui osservare il cielo, spazi verdi, magari con gli animali… Hanno un’idea di scuola che è un po’ la rappresentazione di un’idea di società che a loro piacerebbe costruire. Ma siamo molto indietro.
Il pedagogista Loris Malaguzzi diceva “lo spazio può diventare il terzo educatore”, consegnando all’architettura un ruolo chiave, perché le modalità in cui uno spazio viene progettato creano opportunità di relazione. Consideriamo anche le scuole montessoriane: il metodo parte dal presupposto che il rapporto tra gli studenti sia un aspetto formativo, quindi non ha senso costruire aule chiuse su lunghi corridoi. C’è un rapporto proporzionale tra l’apprendimento e la qualità degli spazi. Pensa solo al tema del ricambio d’aria: in ambienti chiusi più sale il livello di CO2 nell’aria, più è difficile riuscire a concentrarsi. Per questo un secolo fa le scuole venivano progettate con i soffitti alti! Ma poi c’è un tema generazionale, lo vedo anche con i miei figli: oggi i ragazzi fanno più cose contemporaneamente e questo li abitua a un tipo di attenzione multipla che nelle scuole non viene contemplata. Non possiamo più avere scuole con sole classi frontali, bisogna pensare a spazi alternativi per laboratori, workshop... Anche gli spazi esterni, i cortili - quando ci sono - hanno sempre un campo da calcio o da basket: si dovrebbe pensare a chi non pratica questi sport nell’intervallo. Chi pensa agli spazi per loro? C’è anche un’evoluzione culturale a cui bisogna saper rispondere.
Tenendo spesso conferenze nelle università in giro per il mondo notavo che i ragazzi mi facevano sempre le stesse domande: come faccio a formarmi in modo specifico sulla progettazione sostenibile, dove trovo informazioni su questo tipo di architettura? La SOS è nata per costruire un sistema di trasferimento di conoscenze. Ma ci tengo a dire che non è un trasferimento in una sola direzione, perché i ragazzi che oggi hanno 24-25 anni saranno gli stessi che tra vent’anni si giocheranno la partita e io sono molto curioso di sapere come vedano loro il futuro, che non è lo stesso che vedo io. La scuola deve raccogliere questo confronto e soprattutto formare persone per far sì che trovino un lavoro. Nel nostro Paese c’è un forte vuoto formativo tra scuola e mondo del lavoro, magari fai il tirocinio per dieci anni finché non impari qualcosa… La SOS si inserisce proprio in questo gap, con la sede dentro al nostro studio, dando strumenti concreti con cui lavorare sulla ricerca e lo sviluppo dei progetti, facendo entrare gli studenti in relazione con aziende partner per capire quello che sta dietro a un processo o a un prodotto, quali sono le scelte sui temi della rigenerazione, del riciclo, del recupero e della trasformazione dei materiali, dell’efficienza energetica, della mobilità elettrica…
Vedi, la verità è che ormai siamo consapevoli del cambiamento climatico a livello globale, ma lo siamo anche del fatto che bisogna fare qualcosa per trovare soluzioni. Quindi, questo cambiamento, o lo progettiamo, o lo subiamo: qui sta l’opportunità, quella di una nuova progettualità che ci fa rompere i paradigmi, ci fa abbandonare modelli che mettono sempre l’uomo al centro e aggiunge valore etico. Un po’ quello che abbiamo cercato di fare con TECLA (primo modello di abitazione ecosostenibile stampato in 3D interamente in terra cruda locale n.d.r) sviluppata grazie alla ricerca intrapresa dagli studenti della SOS.
A neolaureati, ma anche a giovani specializzati nel campo dell’architettura, dell’ingegneria e del design da tutto il mondo. In questi anni abbiamo accolto circa 90 studenti. L’80% di loro ha trovato lavoro in studi internazionali entro due mesi dalla conclusione.
Il Master in Architettura e Design Sostenibile è full time e dura nove mesi; c’è un Summer Program, intensivo, di due settimane; e Workshops pensati per sensibilizzare i partecipanti alla progettazione sostenibile. Riguardo al Master, la prima parte è dedicata a moduli teorici per formare quattro profili molto richiesti nel campo della consulenza, nelle aziende, nelle istituzioni e nel terzo settore: Sustainability Advisor, Green Building Manager, Environmental Analyst e Circular Economy Consultant. La seconda parte è dedicata ai Project Tracks, in collaborazione con professionisti MCA del dipartimento R&D (Research and Development) e con i partner istituzionali di SOS. Gli argomenti: Architecture as a Social Business; Post-carbon Architecture; The right to quality shelter; Design of Products and Systems for the Circular Economy.
Se devo rispondere… Sono stato uno studente molto “alternante”: ho fatto bene le cose che mi piacevano e molto male quelle che non mi interessavano. Raccontavo l’altra sera a mia figlia che all’università il mio libretto dei voti era assurdo, spaziava dai 18-21 ai 30 con lode, non c’era via di mezzo! Facevo fatica quando mi chiedevano: quanto misura il tale ponte sul fiume…? Spiegatemi il perché delle cose, non fatemi studiare dati a memoria!
Sarei di sicuro in strada, con i ragazzi, a dedicarmi all’attivismo ecologico. Mi piacerebbe fare questo lavoro nella vita, l’attivista ambientale in giro per il mondo. Credo sia una battaglia davvero giusta. Ci sono personaggi che ammiro moltissimo, come l’ecologista e attivista inglese David Attenborough, che ha ben 94 anni, ed è uno dei più grandi di sempre. Anche lui ci ricorda che siamo parte di un unico ecosistema e che la natura ha sempre saputo il segreto della vita: ogni specie è in grado di prosperare, solo se a farlo è anche tutto il resto che la circonda.