Milano Verticale: riflessione sulla città
L’ottava uscita degli “Itinerari di architettura milanese” della Fondazione OAMi ripercorre la storia dei grattacieli di Milano, soffermandosi sul significato dello sviluppo verticale dal ‘900 a oggi.
Quella che sembra una semplice guida alle torri di Milano – l’ottava uscita della collana “Itinerari di architettura milanese” della Fondazione dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano (OAMi) – contiene, invece, una riflessione critica su come i nuovi grattacieli della città meneghina non siano espressione di un’identità locale, quanto piuttosto di capitali d’impresa globali e di una committenza spersonalizzata, anonima e corporativa. “Le Torri milanesi del XXI secolo appaiono raramente frutto di una ricerca” scrive Fulvio Irace nel suo saggio introduttivo, “e più spesso invece espressione di una generic city sostenuta da programmi e protocolli di un mercato impersonale, che necessita di simboli facili e dunque immediatamente attrattivi. Non a caso, con l’eccezione di qualche timida partnership locale, i protagonisti della nuova corsa al cielo appartengono alla top list di una collaudata routine internazionale, l’unica in grado di garantire efficienza produttiva degli investimenti, rapidità di progettazione ed esecuzione e un blando gusto di diffusione mondiale.”
Il caso di Milano non è sempre stato caratterizzato da tale impersonalità. I primi grattacieli, partendo dai primi esempi degli anni ‘30 (la Torre Snia Viscosa di Alessandro Rimini in Corso Matteotti e la Torre Locatelli di Mario Bacciocchi in Piazza della Repubblica) fino a quelli degli anni ‘50 (il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti alla Stazione Centrale; la Torre Breda di Luigi Mattioni, Eugenio ed Ermenegildo Soncini in Piazza della Repubblica; la Torre Velasca di BBPR a Missori; le torri di Mattioni in Piazza Diaz, via Turati, Largo V Alpini, via Fara; la Torre Galfa di Melchiorre Bega; la Torre Biancamano di Portaluppi; o quella dei servizi tecnici comunali di Gandolfi, Bazzoni, Fantino e Putelli in Melchiorre Gioia) sono nati in una “fervida stagione di progetti che presupponevano una medesima idea di città: ultimo tentativo di condividere una lingua comune pur nelle inevitabili declinazioni di sensibilità individuali,” come descritto dalle parole di Fulvio Irace.
I capitoli centrali del libro raccontano nel dettaglio alcuni di questi grattacieli, fotografati da Giovanna Silva, iniziando da quelli che per primi hanno avuto l’arditezza di superare la Madonnina (una legge d’epoca fascista imponeva che nessun edificio fosse più alto della guglia più importante del Duomo) per arrivare ai più recenti esempi delle zone ex-industriali di Porta Garibaldi e City-Life, tutti nati dopo il 2010 e grazie ai quali Milano ha conquistato il primato di città verticale che ospita ben sette dei dieci edifici più alti del nostro paese. Seppur controversi, questi progetti hanno il merito di aver acceso il dibattito sulle politiche di rigenerazione urbana, sugli spazi pubblici e su quelli destinati al verde. Più che sulla verticalità, appunto, l’attenzione va posta alla base, con lo scopo di renderla attraente e viva e di dare vita ad una forza magnetica come quella che – come fa notare Jacques Herzog – è riuscita a creare la Fondazione Prada. Pur non essendo particolarmente visibile da lontano, la Fondazione è diventato un nuovo landmark urbano, che ha trasformato un ex-sito industriale in un nuovo luogo straordinario, capace veramente di attrarre i cittadini e gli investimenti.
Se il concetto di modernità è stato a lungo associato allo sviluppo verticale su modello di Manhattan, e Milano in questo senso è stata emblematica tra le città italiane, oggi l’idea di città moderna è legato ad altre tematiche, come l’emergenza della questione ambientale, l’attenzione alla qualità della vita, la ricerca di un nuovo rapporto tra spazio urbano e contesto naturale. La necessità di stabilire un legame forte tra i grattacieli e ciò che vi sta alla base emerge da un’intervista di Carles Muro, architetto e membro del comitato scientifico della collana “Itinerari di architettura milanese” a Jacques Herzog, il quale, parlando di Manhattan, compara i grattacieli ad alberi ad alto fusto e tutte le attività pubbliche e commerciali che vi stanno alla base ad un rigoglioso sottobosco. Ciò non accade a Milano. “Penso che a Milano gli edifici alti siano una specie di equivoco: sono costruiti su una sorta di piattaforma artificiale e sembra non riescano a essere veramente radicati al suolo” afferma Herzog. E ancora: “Dobbiamo essere consapevoli di come gli edifici alti toccano il suolo e cosa generano a livello della strada: sono accessibili o creano una sorta di isolamento?” Esemplare il caso di Hong Kong, dove, nonostante la presenza di edifici molto alti e l’assenza di spazi pubblici, esiste una ricca vegetazione e i piani terra e le lobby degli edifici privati sono stati trasformati in spazi pubblici attraverso cui si può camminare e sostare.
Titolo: Milano Verticale
A cura di: S. Galateo
Disegno di: Studio Folder
Casa editrice: Fondazione OAMi
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 66
Lingua: italiano e inglese